Il clima mette a rischio il Made in Italy

Il clima mette a rischio il Made in Italy

Il cambiamento climatico comporta impatti considerevoli anche sulla produzione agroalimentare, con conseguenze che non escludono nemmeno l’Italia, dove sono stati riscontrati mutamenti di non poco conto. Ulivi che si spostano a ridosso delle Alpi, vendemmie anticipate e un aumento della gradazione del vino sono solo alcuni esempi.

Crisi climatica e prodotti Made in Italy

Studi recenti hanno rilevato che ben il 98% del Pianeta è sotto l’attacco del riscaldamento globale, che non è mai così veloce in 2.000 anni. Anche in Italia è in atto una evidente tendenza al surriscaldamento. La classifica degli anni interi più caldi conosciuti dalla nostra Penisola negli ultimi due secoli si concentra infatti nell’ultimo periodo, includendo nell’ordine il 2018, il 2015, il 2014 e il 2003.



Come rimarcato da Coldiretti, questa tendenza climatica influisce sulla distribuzione delle coltivazioni e sulle loro caratteristiche. L’ulivo, tipicamente mediterraneo, in Italia si è ormai spostato a ridosso delle Alpi. Nel frattempo, in Sicilia e in Calabria sono arrivate le piante di banane, avocado e di altri frutti esotici, mai viste in precedenza nel nostro territorio.

L’innalzamento delle temperature ha coinvolto anche il vino autoctono, che con il caldo è aumentato di un grado negli ultimi trenta anni. Nel settore vinicolo si è inoltre verificato nel tempo un anticipo della vendemmia, in taluni casi di un mese rispetto al tradizionale appuntamento di settembre.

Il riscaldamento provoca infine il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o per l’invecchiamento dei vini. Una situazione che, secondo Coldiretti, mette a rischio il patrimonio di prodotti tipici del Made in Italy, i cui tratti distintivi e la cui qualità dipendono essenzialmente o esclusivamente proprio dall’ambiente geografico.

A questo contesto già di per sé preoccupante si aggiungono i danni causati all’agricoltura dalla evidente tendenza alla tropicalizzazione. Negli ultimi anni sono cresciuti in maniera esponenziale gli eventi atmosferici violenti, come bombe d’acqua e grandinate, nonché gli sfasamenti stagionali che minano la salute delle coltivazioni e della produzione agroalimentare. Un caso emblematico è quello del miele, altra eccellenza del Made in Italy.

Il crollo della produzione di miele

Da Nord a Sud, lungo tutto lo Stivale, il 2019 sarà ricordato come l’anno del crollo della produzione di miele a causa del clima anomalo che ha caratterizzato i primi mesi dell’anno. Le percentuali del calo sono impressionanti: si va dal 40% a oltre il 70% di alcune zone.

In particolare, le produzioni a maggiore marginalità come l’acacia sono diminuite del 41% rispetto alle attese, conducendo a un taglio dei ricavi di 73 milioni di euro per gli apicoltori di tutto il Paese.

Il crollo del miele nostrano ha contemporaneamente condotto a un incremento delle importazioni. Secondo un’analisi realizzata da Coldiretti sulla base dei dati Ismea, attualmente sugli scaffali dei negozi e di supermercati più di un vaso su due contiene in realtà miele straniero. Circa la metà di questo miele arriva dall’Ungheria. Il 10% proviene invece dalla Cina dove, a differenza del territorio nazionale, sono ammesse anche coltivazioni Ogm.

Per evitare di portare in tavola prodotti provenienti dall’estero, che risultano spesso di bassa qualità, “occorre verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica”, consiglia Coldiretti.

La sofferenza delle api e il conseguente crollo della produzione di miele sono uno dei tanti effetti dei cambiamenti climatici in atto, che sconvolgono la natura e che nel lungo termine stanno minacciando la stessa economia. È tempo di cambiare rotta prima di imboccare la strada del non ritorno.

Pubblicato da Evelyn Baleani il 31 Luglio 2019