
La “moda veloce” o fast fashion promette tendenze sempre nuove a prezzi stracciati, ma dietro le collezioni che cambiano ogni settimana si nascondono costi sociali e ambientali enormi.
Al contrario, marchi sostenibili e piattaforme di abbigliamento di seconda mano propongono capi che durano nel tempo e riducono gli sprechi.
Questa analisi confronta un guardaroba composto da 50 capi fast‑fashion con uno slow‑fashion in un periodo di cinque anni, valutando durata dei capi, costi di riparazione, emissioni di CO₂ per utilizzo e inquinamento da microfibre. Scopri come le scelte di consumo possono incidere sul portafoglio e sul pianeta.
Durata dei capi, riparazioni e costi
La più grande differenza tra fast‑fashion e slow‑fashion risiede nella durata delle singole maglie o pantaloni. L’industria dell’ultra‑fast‑fashion propone capi molto economici ma destinati a poche settimane d’uso: molte persone indossano un vestito solo 7‑10 volte prima di gettarlo. Ciò implica cicli di acquisto e smaltimento velocissimi. Inoltre oltre 70 % dell’abbigliamento è composto da fibre sintetiche, con il poliestere al 52 %; questi tessuti economici sono meno resistenti e rendono difficile la riparazione.
I brand certificati e la moda second‑hand promuovono invece la durabilità. Un confronto tra una camicia fast‑fashion da 30 $ e una camicia etica da 120 $ ha mostrato che la prima dura 10‑15 indossamenti (costo 3‑7,50 $ per uso), mentre la seconda resiste a oltre 100 indossamenti con un costo per utilizzo di 1,50‑4 $. Allungare la vita media di un capo di nove mesi fa risparmiare risorse e raddoppiare il numero di utilizzi riduce le emissioni del 44 %.
Nella simulazione di un guardaroba di 50 capi per cinque anni, ipotizzando che ogni capo fast‑fashion duri 10 indossamenti, il consumatore dovrebbe acquistare 250 pezzi (cinque “cicli” completi da 50) per mantenere invariato il guardaroba. Con un costo medio di 15 $ per pezzo e una riparazione minima del 50 % dei capi a 5 $ l’una, la spesa complessiva raggiunge circa 4 375 $, ovvero 1,75 $ per utilizzo.
Al contrario, uno slow‑closet formato da 25 capi certificati sostenibili (50 $ ciascuno) e 25 provenienti da negozi di seconda mano (20 $ ciascuno) richiede solo 100 pezzi in cinque anni (due cicli da 50) grazie a una durata media stimata di 75 indossamenti. I costi di riparazione (10 $ per capo) portano la spesa totale a circa 4 500 $. Pur avendo un esborso iniziale più elevato, il costo per utilizzo crolla a circa 0,60 $, perché ogni capo viene sfruttato molte più volte. Le piattaforme second‑hand permettono inoltre di risparmiare 50‑70 % rispetto al nuovo; alcune analisi calcolano che acquistando abiti di seconda mano si possono risparmiare circa 900 $ e 330 kg di CO₂e all’anno, rendendo il guardaroba lento anche economicamente competitivo.
Emissioni di carbonio e impronta ambientale
Le fibre sintetiche hanno un’impronta climatica elevata. La produzione di una T‑shirt in poliestere genera circa 5,5 kg di CO₂e, mentre una T‑shirt in cotone ne produce 2,1 kg. Poiché circa il 70 % dei capi fast‑fashion è sintetico, il nostro guardaroba veloce da 50 pezzi emette in totale circa 1 125 kg di CO₂ durante la fase di produzione (250 capi × 4,5 kg medi per capo). Per ogni utilizzo, considerando la breve vita utile, ciò equivale a 0,45 kg di CO₂.
Nel guardaroba slow‑fashion, metà dei capi è acquistata nuova da brand certificati (2,1 kg di CO₂ per capo) e metà proviene da rivenditori di seconda mano (circa 0,3 kg di CO₂ perché non richiede nuova produzione). In totale, i 100 capi acquistati in cinque anni generano circa 120 kg di CO₂. Grazie alla maggiore durata (75 indossamenti), l’impronta per utilizzo scende a 0,016 kg di CO₂, quasi trenta volte meno del fast‑fashion. Indossare un capo 50 volte anziché 5 taglia le emissioni di oltre 400 %, e raddoppiare il numero di utilizzi riduce le emissioni del 44 %.
L’impatto climatico non è l’unico fattore. La produzione di cotone richiede enormi quantità di acqua: per una sola T‑shirt servono 2 700 litri. Il poliestere, oltre a richiedere energia da fonti fossili, impiega centinaia di anni a degradarsi. Scegliere fibre naturali certificate, preferire il cotone organico o il lino, e acquistare abiti second‑hand riduce sia la domanda di nuove risorse sia la quantità di rifiuti tessili.

Inquinamento da microfibre e impatti sull’oceano
Oltre al carbonio, la “moda veloce” – fast fashion contribuisce in modo significativo alla dispersione di microfibre. Un singolo ciclo di lavaggio può rilasciare circa 700 000 microfibre, un flusso che si somma alle tonnellate di microplastiche che raggiungono gli oceani ogni anno. Un’analisi su microfibre ha rilevato che un singolo capo può emettere fra 120 000 e 730 000 microfibre per ciclo di lavaggio; la maggior parte deriva da tessuti sintetici come poliestere e nylon. Inoltre, circa il 35 % delle microplastiche presenti nei mari proviene dai lavaggi di abiti sintetici, e il poliestere è responsabile del 73 % di queste fibre.
Nel nostro modello, i capi fast‑fashion sono composti per il 70 % da fibre sintetiche. Stimando che ogni lavaggio avvenga ogni due indossamenti e che un capo sintetico rilasci mediamente 425 000 microfibre per lavaggio, ogni utilizzo comporta l’emissione di circa 155 000 microfibre. Con una vita utile di 10 indossamenti per capo e 250 capi acquistati, il guardaroba fast‑fashion disperde circa 388 milioni di microfibre nell’ambiente nel corso di cinque anni. Nel guardaroba slow‑fashion, la composizione è invertita: la maggior parte dei capi è in fibre naturali, che rilasciano meno microfibre e si degradano più rapidamente. La stima per i capi slow‑fashion è di circa 40 000 microfibre per utilizzo; grazie alla maggiore durata dei capi, il totale rilasciato in cinque anni è circa 303 milioni di microfibre. Sebbene il numero totale sia simile a causa delle maggiori durate, la qualità delle fibre conta: le microfibre di cotone e lana si degradano più facilmente, mentre quelle di poliestere persistono per secoli.
Ridurre il lavaggio e adottare filtri o sacchetti cattura‑microfibre può limitare la dispersione domestica. L’adozione di tessuti naturali, la scelta di capi di qualità e il prolungamento della loro vita utile restano però gli strumenti più efficaci. La moda sostenibile richiede di riutilizzare, riparare e condividere, riducendo acquisti impulsivi e restituendo valore agli abiti che possediamo. La comparazione dei due guardaroba mostra che, su cinque anni, investire in abiti certificati o di seconda mano riduce le emissioni, il costo per indossamento e l’inquinamento da microfibre, dimostrando come un consumo più lento e consapevole apporti benefici economici e ambientali.
Fonti
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https://uniformmarket.com/statistics/fast-fashion-statistics
- https://www.oxfam.org.uk/oxfam-in-action/oxfam-blog/new-shocking-facts-about-the-impact-of-fast-fashion-on-our-climate/
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https://earth.org/fast-fashion-and-emissions-whats-the-link/
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https://sustainfashion.info/microfiber-shedding-environmental-concerns-and-proposed-solutions/
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https://www.thecommons.earth/blog/the-myth-and-potential-of-sustainable-fashion
