Le praterie di Posidonia oceanica: un tesoro marino minacciato

Le praterie di Posidonia sono un tesoro sottomarino minacciato

Spesso vengono scambiate per alghe e considerate un fastidio quando si accumulano sulla battigia. In realtà, queste piante acquatiche svolgono un ruolo cruciale negli ecosistemi marini e sono oggi sempre più a rischio a causa delle attività umane.

I mari italiani, come l’intero bacino del Mediterraneo, ospitano ancora vaste praterie di Posidonia oceanica, ecosistemi fondamentali per la biodiversità ma estremamente fragili. Tra le principali minacce spiccano gli ancoraggi non regolamentati, una problematica che il nuovo studio del WWF porta alla ribalta, richiamando l’attenzione sull’urgenza di proteggere questi habitat.

I danni dell’ancoraggio: oltre 50.000 ettari a rischio

Secondo il rapporto Safeguarding Mediterranean Seagrass Meadows from Anchoring Damage, lanciato dal WWF in occasione della Giornata mondiale degli oceani, oltre 50.000 ettari di Posidonia oceanica — equivalenti a circa 70.000 campi da calcio — potrebbero essere danneggiati nel solo 2024. Questo implicherebbe una perdita economica di oltre 4 miliardi di euro l’anno in termini di servizi ecosistemici.

Attraverso avanzate tecnologie di identificazione automatica (AIS), lo studio ha mappato la pressione degli ancoraggi su tutta la regione. L’ancoraggio rappresenta una delle minacce più gravi, ma anche tra le più facilmente evitabili, per la Posidonia oceanica, una pianta marina a crescita lenta, fondamentale per la salvaguardia delle coste, la regolazione climatica e la pesca sostenibile.

Un polmone blu per il Mediterraneo

Le praterie di Posidonia oceanica sequestrano enormi quantità di carbonio, equivalenti alle emissioni annuali di 430 milioni di automobili, contribuendo in modo significativo alla lotta contro il cambiamento climatico. Inoltre, proteggono le coste dall’erosione: i depositi marroni che spesso si osservano sulle spiagge sono costituiti da foglie mature della pianta, che agiscono come ammortizzatori naturali contro il moto ondoso.

I numeri dell’impatto

Nel 2024, si stima che oltre 179.000 imbarcazioni abbiano ancorato sulle praterie marine, con il 45% di esse superiore ai 24 metri di lunghezza. Le imbarcazioni più grandi risultano responsabili di circa il 60% delle aree colpite. Tra le aree più impattate figurano l’Italia, la Spagna, la Turchia, la Grecia e la Francia. Dove invece esistono regole di ancoraggio severe, come nel sud della Francia, i danni risultano molto più contenuti.

Il rapporto sarà presentato anche alla UN Ocean Conference a Nizza, insieme a raccomandazioni rivolte sia ai governi che ai diportisti.

Appello alla tutela degli ecosistemi

«I danni da ancoraggio sono estremamente difficili da sanare: le cicatrici sui fondali possono richiedere oltre 100 anni per guarire», avverte Mauro Randone, manager del Marine Ecosystem Program del WWF Mediterraneo.

Le principali raccomandazioni del WWF includono:

  • divieti nazionali di ancoraggio sulle praterie per le imbarcazioni superiori a 15 metri;

  • potenziamento delle infrastrutture di eco-mooring;

  • espansione delle zone marine protette;

  • rafforzamento della cooperazione transfrontaliera;

  • investimenti in educazione ambientale, applicazione delle norme e restauro ecologico.

L’Italia in prima linea

L’Italia è tra i paesi più colpiti. Nel Golfo Aranci e a La Maddalena si registra il picco massimo, con oltre 13.000 ancoraggi nelle praterie, soprattutto tra maggio e settembre, quando il traffico nautico quadruplica.

«Purtroppo l’Italia, insieme a Francia, Croazia, Spagna, Turchia e Grecia, non solo conta il maggior numero di ancoraggi, ma deve anche affrontare le conseguenze ecologiche più significative», sottolinea Giulia Prato, responsabile Mare del WWF Italia. «Serve uno sforzo congiunto tra istituzioni, cittadini e ricercatori per contrastare questa minaccia».

Il ruolo del restauro ecologico

Per contrastare i danni da attività antropiche, il restauro ecologico si rivela essenziale. Le tecniche comprendono sia interventi attivi (ripiantumazione delle fanerogame, reintroduzione di specie) che passivi (creazione di aree protette e installazione di eco-ormeggi). Quest’ultimo approccio è considerato prioritario per prevenire danni futuri.

In questo contesto si inserisce la Nature Restoration Law della Commissione Europea, che fissa obiettivi vincolanti per il ripristino degli ecosistemi degradati, in particolare quelli con elevato potenziale di assorbimento del carbonio.

Un progetto per il Sud Adriatico

In Italia, il WWF avvierà a ottobre un progetto pilota: “Insieme per il Sud Adriatico: recupero del paesaggio marino della Puglia meridionale”. Il tratto di mare adriatico davanti alla Puglia ospita alcune delle ultime praterie di fanerogame marine ancora in buono stato, ma sempre più minacciate da ancoraggi e cambiamento climatico.

Il progetto, condotto dal WWF Mediterraneo e WWF Italia, combinerà interventi di ripristino attivo e passivo, protezione del coralligeno e delle dune costiere, e azioni di supporto allo sviluppo socio-economico sostenibile delle comunità locali. L’obiettivo è ripopolare l’ecosistema marino, rafforzare la resilienza climatica e contribuire a un futuro più sostenibile per il Mediterraneo.