Fitopatogeni: cosa sono e come si stanno evolvendo a causa dei cambiamenti climatici

fitopatogeno agrobacterium tumefaciens

Fitopatogeni: cosa sono e come si stanno evolvendo a causa dei cambiamenti climatici” è il nuovo articolo frutto della collaborazione tra la Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement – Agorà Scienza – e dal Green Office UniToGO dell’Università di Torino con la IdeeGreen S.r.l. Società Benefit.

L’articolo riprende i testi del prof. Massimo Pugliese, del dott. Tommaso Orusa, della dott.ssa Giulia Alice Fornaro, del prof. Alberto Alma e del dott. Vladimiro Guarnaccia pubblicati nell’opera “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico”, la seconda edizione della guida linguistica e scientifica per orientarsi nelle più urgenti questioni relative al riscaldamento globale, curata dalla Sezione e dal Green Office.



La versione gratuita di Lessico e Nuvole, sotto forma di file in formato .pdf, è scaricabile dalla piattaforma zenodo.org.

La versione cartacea e l’eBook sono acquistabili online sulle seguenti piattaforme di distribuzione:

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Tutto il ricavato delle versioni a pagamento sarà utilizzato dall’Università di Torino per finanziare progetti di ricerca e di public engagement sui temi dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.

Cosa sono i fitopatogeni

I patogeni vegetali, o fitopatogeni, sono organismi che provocano malattie alle piante e sono oggetto di studio della patologia vegetale. Convenzionalmente i principali patogeni vegetali sono virus, fitoplasmi, batteri, oomiceti e funghi; di seguito sono presentate le principali malattie da essi causate.

Tra i virus vi è quello dell’avvizzimento maculato del pomodo­ro, il virus del mosaico del cetriolo, il virus della tristezza de­gli agrumi, il virus del mosaico del tabacco. Le principali malattie causate da fitoplasmi che minaccia­no le nostre colture sono la flavescenza dorata della vite,gli scopazzi del melo e lo “stolbur” del pomodoro. I batteri invece causano alcuni tipi di cancro come quelli causa­ti da Agrobacterium tumefaciens, e sono responsabili del marciume nero e della macchiettatura batterica. Altre malattie di origine bat­terica sono: maculatura angolare causata da Pseudomonas syrin­gae, il marciume nero e la maculatura batterica causata da Xan­thomonas campestris, i marciumi molli causati da Erwinia carotova, il fuoco batterico dei fruttiferi causato da Erwinia amylovora. Gli oomiceti causano invece le peronospore, le morie e i marciumi. Infine, tra le principali malattie provocate da funghi si citano la bol­la del pesco, gli agenti di alterazioni in post-raccolta e produttori di micotossine, la grafiosi dell’olmo, la moria del platano, i mal bianchi, l’antracnosi, il mal del piede, le fusariosi e verticilliosi, le scloritionisi, la muffa grigia, la cercosporiosi, l’alternariosi, l’emintosporiosi, la tic­chiolatura, le carie, i carboni, le ruggini, la rizottoniosi.

Tra le malattie citate, d’interesse sia agronomico sia forestale, al­cune sono provocate da agenti patogeni “di debolezza”, capaci di attaccare le piante che si trovano in situazione di stress e defi­cit fisiologico a seguito di fenomeni abiotici (come vento, gela­te, inquinamento, ecc.) o biotici, come le infestazioni di insetti, che a loro volta possono fungere da vettori di microorganismi pa­togeni o ancora, piante infestanti e malformazioni genetiche. Tutti fattori che possono anche agire contemporaneamente. Per farvi fronte la ricerca in patologia vegetale è concentrata su di­versi fronti a livello diagnostico e di lotta ai patogeni, lotta nella quale gli agrofarmaci, se usati opportunamente, sono validi alleati. Tuttavia il loro impiego, concesso per le piante d’interesse agrono­mico/ornamentale, è limitato per legge nei contesti forestali. Relativamente alla relazione con i cambiamenti climatici, visti come componente ambientale del “triangolo della malattia” – che include l’ospite (la pianta), l’a­gente patogeno (e suoi eventuali vettori) e, ap­punto, l’ambiente – esistono diversi studi e si stanno sviluppando dei modelli previsionali (spesso a partire da osservazioni empiriche, os­servazioni di campo e dati satellitari) per capi­re quale sarà la risposta dei diversi patosistemi.

Gli studi finora condotti dimostrano come i cam­biamenti climatici possano indurre variazioni nelle produzioni agricole e forestali a causa di “effet­ti diretti” sulla fisiologia e sulla morfologia delle colture e di “effetti indiretti” sul ciclo degli ele­menti nutritivi, sull’interazione coltura-infestante, e sulla comparsa di patogeni e insetti dannosi e sul manifestarsi di malattie. Il potenziale impatto dei cambiamenti climatici viene attualmente si­mulato e studiato adottando metodologie diver­se: in prove sperimentali condotte in ambiente protetto (ad es. in celle fitotronichea fitotroni, camere di crescita, ecc.) o in condizioni di cam­po, oppure è stimato attraverso l’impiego di mo­delli di simulazione climatica abbinati a modelli di crescita. Poiché attualmente le conoscenze re­lative all’impatto dei cambiamenti climatici sulle malattie delle piante risultano in fase di studio, l’impiego combinato di modelli di simulazione (cli­matica, produttiva ed epidemiologica) risulta lo strumento più adatto, nonché il più economico, al fine di comprendere in quale modo i patosi­stemi possano reagire ai cambiamenti ambientali.

Ad esempio, nel caso della peronospora della vite i modelli hanno previsto un intensificarsi delle epi­demie future a causa delle condizioni climatiche più favorevoli al patogeno durante i mesi di mag­gio e giugno; temperature in media più alte non riusciranno a essere controbilanciate dall’effetto della riduzione delle precipitazioni, imponendo di conseguenza un maggior ricorso a trattamenti con agrofarmaci volti a contenere il patogeno (fino a due volte in più rispetto a quelli attuali). Analo­ga situazione si potrebbe verificare per il batterio Erwinia amylovora, agente eziologico del colpo di fuoco delle piante appartenenti alla famiglia delle Rosaceae, come il melo.

L’impatto sugli agroecosistemi a seguito dell’evoluzione degli agenti fitopatogeni

I cambiamenti climatici, e in particolare l’aumentata concentrazione di diossido di carbonio (CO2) accompagnata dall’innalzamento delle temperature, stanno impattando in modo significativo sulle piante coltivate e il loro ambiente, gli agroecosistemi. La concentrazione di diossido di carbonio è passata dalle 280 parti per milione (ppm) dell’epoca preindustriale alle oltre 400 ppm di oggi; ed entro il 2100 si prevedono valori superiori a 700 ppm. A causa dell’effetto serra che ne consegue c’è stato un incremento di circa 1 °C delle temperature medie globali nel secolo scorso, che, purtroppo, senza improbabili inversioni di tendenza nei comportamenti e consumi, rischiano di subire un ulteriore innalzamento di 1,5–2 °C nel corso di questo secolo.

La piramide della malattia

Quale impatto hanno dunque i cambiamenti climatici sulle aree agricole?

I modelli di simulazione ci permettono di ipotizzare scenari futuri. Per quanto riguarda l’aumento del diossido di carbonio atmosferico, i modelli prevedono maggiori rese delle colture perché il gas ha un effetto fertilizzante sui vegetali e genera un aumento dei meccanismi di difesa. Allo stesso tempo, più vigore vegetativo significa anche condizioni favorevoli per lo sviluppo di alcuni tipi di patogeni e fitofagi, nonché degli insetti che fungono da loro vettori. Anche l’aumento delle temperature ha una doppia valenza: da un lato permette di estendere le colture in zone finora climaticamente meno adatte o avverse, basti osservare in montagna l’innalzamento della tree-line, ossia del limite per le piante in particolare larici e pini cembri; dall’altro lato però, l’incremento delle temperature fornisce la possibilità per alcuni fitofagi di riprodursi più frequentemente.

Inoltre l’intensificarsi di fenomeni atmosferici estremi come inondazioni, tempeste o, all’opposto, ondate di siccità non potranno che nuocere alle coltivazioni, con conseguenti effetti negativi sulla produzione agricola, a livello forestale e più in generale sulla sicurezza alimentare. I cambiamenti nelle precipitazioni poi stanno già modificando le caratteristiche chimiche e fisiche del suolo e dell’acqua di irrigazione, con conseguenze ancora da studiare e capire appieno.

La variazione di ciascuno di questi fattori ha delle conseguenze sull’attività dei patogeni delle piante e sul loro rapporto con l’ospite. Occorre allora studiare l’impatto dei cambiamenti climatici sull’intero “triangolo della malattia” che include l’ospite (la pianta), l’agente patogeno (e suoi eventuali vettori) e l’ambiente.

Chi troverà condizioni più favorevoli a seguito dell’aumento delle temperature e dell’anidride carbonica e quale sarà la risposta a seguito di eventi meteorologici estremi, siccità o altre variazioni climatiche? A tale domanda solo uno studio mirato sulla biologia del patogeno, dei potenziali vettori e dell’ospite permette di trovare delle risposte.

Quali sono i patogeni delle piante?

Si tratta di funghi o batteri responsabili di marciumi dei frutti, cancri dei rami, marciumi delle radici o infezioni fogliari. Un enorme numero di microrganismi che spesso risiede nei suoli in fase latente o nei tessuti vegetali come endofiti, finché le mutate condizioni ambientali non favoriscono l’alterazione del loro rap­porto con la pianta ospite che diventa così di tipo parassitario. Un po’ come suc­cede a noi esseri umani con alcune infezioni micotiche o batteriche.

Numerose malattie delle piante sono storicamente note agli addetti ai lavori e non solo, eppure, negli ultimi anni, diverse malattie emergenti si presentano improvvi­samente e senza alcuna traccia nella letteratura internazionale. Ampiamente noto l’esempio del batterio Xylella fastidiosa, studiato per decenni come patogeno della vite e degli agrumi, ma che recentemente è stato riscontrato come responsabile di una devastante epidemia degli ulivi pugliese. Ancora, diverse specie fungine (Dia­porthaceae e diverse specie appartenenti alla famiglia delle Diatrypaceae) note da decenni come comuni abitanti dei tessuti di varie specie vegetali, oggi vengono riportate come una seria minaccia per i campi commerciali del nord Italia destinati alla produzione del mirtillo.

Specie raramente rilevate in associazione a malattie di piante aromatiche e ornamentali, appartenenti a gruppi fungini quali Colletotrichum, rappresentano oggi alcune delle più importanti cause di malattie fogliari in grado di compromettere la produzione di tali piante.

Speciali macchine del tempo

Come si studia l’impatto che i cambiamenti climatici hanno su piante e loro patogeni? Gli approcci sono diversi e tra loro complementari. Ci sono studi che monitorano in loco cosa accade a piante coltivate e non in determinate aree geografiche più espo­ste ai cambiamenti e ci sono studi sperimentali in grado di simulare “in laboratorio” cosa accadrà in futuro in un lasso di tempo di 30, 50 o più anni. A partire infatti dai dati forniti da modelli in grado di fare proiezioni a lungo termine sugli scenari possibili, diversi sono i laboratori nel mondo che stanno cercando di simulare quello che accadrà alle piante di interesse agroalimentare.

Per esempio in Germania, il GSF di Oberschleissheim dal 1996 ha messo a punto delle celle di crescita per studiare gli effetti di stress ambientali sulle piante; a Kuopio in Finlandia e a Rhinelander in USA si utilizzano sistemi per analizzare gli effetti dell’ozono sulle foreste, mentre in Giappone, presso il Kyushu Okinawa Agricultural Research Center di Fukuo­ka, vengono condotti studi per valutare l’effetto di stress termici sulla ferti­lità e produttività di piante di riso. Tuttavia è presso l’Università di Torino, e in particolare all’interno del Centro Agroin­nova, che, per la prima volta, sono stati messi a punto dei laboratori pionieristici per studiare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle malattie delle piante. Si tratta di speciali camere climatiche, dette fitotroni, costruite su misura per coltivare piante anche di grandi dimensioni, che possono riprodurre le variazioni previste dei para­metri climatici più importanti.

È così possibile simulare in modo preciso, pur ovvia­mente in cicli colturali brevi, la reazione delle piante e dei loro patogeni in presenza di condizioni di temperatura e livelli di CO2 diversi rispetto a quelli attuali. Particolare attenzione in queste simulazioni è dedicata alle colture orto-flo­ricole anche per la grande importanza che esse rivestono nell’area medi­terranea e nel nostro Paese, potenzialmente interessato (per la particola­re posizione geografica) dagli effetti dei cambiamenti climatici, con possibili gravi conseguenze sull’agricoltura e sulla sicurezza alimentare in generale. Diversi studi condotti dal Centro Agroinnova hanno evidenziato che, all’aumento di CO2, i patogeni fungini sono poco influenzati direttamente da variazioni nel livello di diossido di carbonio con concentrazioni che arrivano fino a 800 ppm; lo sono inve­ce molto di più indirettamente, a seguito della risposta fisiologica delle piante ospiti.

Indagini condotte sulla vite hanno mostrato come a un aumento sia della tempera­tura sia del CO2, possa corrispondere un incremento dell’incidenza e della gravità della peronospora, una malattia causata da un parassita che sottrae risorse alle pian­te provocando una depigmentazione delle foglie, soprattutto nelle prime fasi dell’in­fezione. I risultati ottenuti possono quindi far ritenere che in futuro, con l’aumento del diossido di carbonio e delle temperature, le condizioni ambientali favoriranno attacchi di peronospora più gravi e anticipati rispetto alle condizioni attuali. Inoltre abbiamo avuto modo di verificare che l’interazione combinata tra alta con­centrazione di CO2 ed elevata temperatura è in grado di aumentare gli attacchi di mal bianco su zucchino, di Alternaria japonica su rucola, di Colletotrichum ocimi su basilico, di Phoma betae su bietola, di Fusarium equiseti su ravanello e rucola e di Allophoma tropica su lattuga.

A complicare la situazione viene poi il possibile effetto di aumenti di temperature e concentrazioni di CO2 sulla produzione di micotossine (tossine prodotte da fun­ghi) da parte dei patogeni soggetti ai cambiamenti climatici. Diversi studi hanno considerato tale aspetto per alcune specie di Alternaria su cavoli, cavolfiori e ru­cola, Myrothecium verrucaria su spinacio e Myrothecium roridum su rucola coltivata. In alcuni casi si è visto che l’effetto della temperatura elevata portava alla pro­duzione di micotossine solo in caso di elevata concentrazione di CO2. Particolarmente interessanti sono gli studi condotti su patogeni terricoli, finora poco investigati in questo ambito, anche in relazione al ruolo che svolgono i mi­crorganismi presenti nel terreno sulla salute delle piante e sulla loro produttività. In merito alla tracheofusariosi della lattuga, per esempio, causata da Fusarium oxy­sporum, la gravità della malattia aumenta in modo significativo all’aumentare della temperatura, mentre il raddoppio della concentrazione di diossido di carbonio non sembra influenzare la malattia. Un’altra fusariosi, che colpisce invece rucola coltiva­ta, è stata stimolata dall’aumento di entrambi i parametri.

Il ruolo degli insetti

Fra i fattori abiotici che influiscono sulla fisiologia degli insetti, la temperatura è uno dei più importanti, dal momento che regola lo sviluppo embrionale e post-embrionale, la diapausa, ovvero il periodo di stasi dello sviluppo per superare periodi avversi come l’inverno, e altre importanti funzioni biologiche come il volo e l’alimentazione. Ne deriva che i cambiamenti climatici in atto, e in particolare l’aumento delle tempe­rature, si ripercuotono sul ciclo biologico, talvolta aumentando la vita di alcune fasi, sul voltinismo (il numero di nuove generazioni originate ogni anno) e sulla distribu­zione geografica.

In questo contesto la maggiore conseguenza del riscaldamento globale implica spostamenti in termini di gradienti di latitudine e altitudine (di cui si è fatto cenno nel percorso Pensare è parlare con particolare riferimento al romanzo “La collina delle Farfalle”, di Barbara Kingsolver, N.d.C.). Ma la crisi climatica ha un ef­fetto anche sulle piante ospiti: l’alterazione della sincronia tra un insetto fitofago e la sua pianta ospite può presentare vantaggi e svantaggi per l’uno e per l’altra. Tutti questi aspetti risultano particolarmente importanti quando coinvolgono specie dannose alle colture, compresa la vite, una delle principali colture di interesse all’Uni­versità di Torino. Calandoci in questo caso specifico, qui di seguito cercheremo di evi­denziare alcune delle più importanti conseguenze che l’aumento delle temperature ha avuto e ha tuttora sui principali insetti presenti in Italia o di temuta introduzione.

La flavescenza dorata è una grave malattia causata da un fitoplasma, trasmes­so alle piante ospiti principalmente dalla cicalina Scaphoideus titanus, un in­setto vettore introdotto in Europa negli anni ’50 del secolo scorso, per il quale lo svernamento avviene allo stadio di uovo e di conseguenza la schiusa accade alla fine di un lungo periodo freddo. Come hanno dimostrato alcuni nostri studi, la schiusa delle uova è molto più concentrata nel tempo in caso di inverni rigi­di e molto più scalare (distribuita nel tempo) in caso di inverni miti, come sem­pre più sono gli inverni alle nostre latitudini. Ne deriva uno sfasamento del ciclo biologico di S. Titanus e di conseguenza la difesa insetticida, che avviene in fun­zione della presenza o meno di determinati stadi giovanili dell’insetto, è più diffi­cile da gestire, con conseguenze anche economiche sull’intera filiera.

Un altro aspetto estremamente preoccupante che ha indirettamente a che fare con l’aumento delle temperature è la temuta introduzione di Xylella fastidiosa: un batte­rio che negli ultimi anni ha attirato una forte attenzione mediatica per aver colpito estensivamente gli ulivi pugliesi, e che nella vite provoca la Pierce’s disease che è in grado di far perire la pianta in pochi anni. Le modalità di trasmissione di X. fastidiosa sono tali che solo gli insetti adulti rimangono infettivi per tutta la vita, ed è quin­di necessario un vettore con svernamento allo stadio adulto per la sopravvivenza dell’inoculo durante l’inverno e per l’inoculazione alla vite. La cicalina, Homalodisca vitripennis, che in inverno sopravvive alimentandosi della linfa grezza dei rametti lignificati di vite possiede queste caratteristiche. Tuttavia, al di sotto di una certa e propria “cura del freddo” (cold curing) nei confronti del patogeno, e in effetti X. fa­stidiosa è diffusa principalmente in zone tropicali e sub-tropicali. Il surriscaldamento globale potrebbe però comportare un’espansione a nord di X. fastidiosa e, peraltro, H. vitripennis sarebbe perfettamente in grado di adattarsi al clima mediterraneo.

Come agire?

La ricerca nel campo della patologia vegetale concentra le proprie forze per cer­care di battere sul tempo il cambiamento, trovando nuove strategie per con­tinuare a garantire alti standard qualitativi del comparto agricolo e rimanendo al passo delle tendenze imposte dal consumatore.

In termini di adattamento, al diffondersi di alcuni patogeni fungini per esempio, oltre a evitare la loro diffu­sione in campo, si può intervenire anche indirettamente attraverso la gestio­ne integrata delle condizioni climatiche e di impianto. Per quanto riguarda la minaccia che proviene dal ruolo degli insetti, la stagionalità, i cambiamenti nella durata delle varie fasi del ciclo biologico, nel voltinismo e nella sopravvivenza di determinati stadi vitali richiedono adattamenti nell’approccio al problema, in particolare riguardo alla gestione fitosanitaria, che possono essere ca­librati di anno in anno con semplici monitoraggi. Tuttavia l’irruzione di un fitofago in aree nuove, dovuto all’introduzione accidentale in una zona analoga dal punto di vi­sta climatico e distante solo geograficamente, o alla colonizzazione naturale di zone divenute adatte in seguito a modificazioni del clima, pone invece l’agricoltura di fron­te a problemi totalmente nuovi, che richiedono una risposta rapida.

Un valido aiuto può giungere dallo sviluppo e dall’applicazione di modelli matema­tici di simulazione, siano essi fenologici, demografici o di distribuzione geografica. Tali strumenti consentono infatti di giocare d’anticipo e di non farsi trovare impre­parati nel momento in cui si presentasse la necessità di gestire nuove emergenze fitosanitarie.

Per riassumere e concludere possiamo dire che oggi l’attenzione di patologi vegetali, entomologi, agronomi e forestali è focalizzata su tre aspetti principali: le perdite di produzione legate alle malattie, la variazione nell’efficacia delle strategie di difesa (mezzi di sintesi chimica e mezzi di lotta biologica) e la variazione della distribuzione geografica dei patogeni (latitudinale e altitudinale). La tematica, oltre ad avere forti ripercussioni in materia di geopolitica, sicurezza alimentare e bioterrorismo, è di forte interesse anche a livello forestale sia per il comparto selvicolturale–produt­tivo sia, e soprattutto, per quello ecologico. La risposta a queste problematiche va cercata, oltre che in una spinta sempre più decisa verso la mitigazione della crisi climatica, anche e soprattutto nella ricerca: in tempi in cui molto si parla di Next generation fund in risposta alla crisi Covid-19, essa va sostenuta e finanziata. Solo così potremo arrivare a efficaci strategie di adattamento facendo fronte in modo adeguato alla crisi in atto.

Immagine di apertura: Agrobacterium tumefaciens gall at the root of Carya illinoensis da Wikipedia

 

prof. Massimo Pugliese, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari e Centro Agroinnova – Università di Torino

dott. Tommaso Orusa, Gruppo Energia e Coordinamento Cambiamenti Climatici UniTo Green Office UniToGO; Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino

dott.ssa Giulia Alice Fornaro, Sezione Valorizzazione della Ricerca e Public Engagement, Direzione Ricerca e Terza Missione – Università di Torino

prof. Alberto Alma, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino

dott. Vladimiro Guarnaccia, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Università di Torino

 

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