Capitalismo green: uno zero all’Italia

Immagine della green economy

Zero su cento. Anche Banca Intesa San Paolo, l’unica azienda italiana che nel 2012 faceva parte della Global 100 most sustainable corporations (al 96° posto) è uscita mestamente dalla classifica. Ergo: nessuna organizzazione italiana merita di stare tra le 100 imprese più sostenibili del mondo. Sostenibili dal punto di vista ambientale, ma non solo.

Questo almeno secondo il Global 100 Most Sustainable Corporations in the World, stimato per essere il più ampio report della sostenibilità nelle aziende esistente a oggi. Per inciso: la ricerca prende in considerazione 4000 società a grande capitalizzazione di tutti i Paesi del mondo e ne ricava la classifica delle prime 100 che si caratterizzano per il maggior contributo alla realizzazione di una economia caratterizzata da un ‘capitalismo pulito’.

Tra le Global 100, l’azienda giudicata più sostenibile è la Unicore (Belgio), seguita dalla Natura Cosmeticos (Brasile) e dalla Statoil (Norvegia). Fuori dal podio ma nella Top 10 anche: Nestle Oil (Finlandia), Novo Nordisk (Danimarca), Storebrand (Norvegia), Koninklijke Philips Electronics (Olanda), Biogen Idec (USA), Sassault Systemes (Francia), Westpack Banking (Australia).

Tanta Europa insomma, soprattutto del nord, ma zero Italia tra le aziende più green. La Germania è fuori dalle 10 ma recupera con un buon numero di imprese (ben 7) tra le prime 100. Stessa cosa per la Svezia e anche Paesi dove l’economia non brilla, Spagna e Portogallo per esempio, piazzano due imprese ciascuno in classifica. Francia sugli allori con 9 aziende in classifica, ma zero Italia nel capitalismo pulito.

Global 100 most sustainable corporations è stato annunciato nei giorni scorsi durante il Forum mondiale sull’Economia che si è tenuto a Davos, in Svizzera. Tra gli indicatori presi in considerazione per stilare la classifica ci sono aspetti tipicamente green come i consumi energetici, le emissioni di CO₂, il consumo di acqua, i rifiuti prodotti, assieme ad altri più legati alla sostenibilità in senso lato come: capacità di innovazione, tasse pagate e il rapporto tra il più alto salario percepito e quello medio dei dipendenti.

Pubblicato da Michele Ciceri il 24 Gennaio 2013