
Il rapporto tra farmaci e ambiente è spesso sottovalutato, ma ha conseguenze gravi e sempre più evidenti. Tra queste, spicca l’antimicrobico-resistenza, un fenomeno che, secondo stime, potrebbe provocare 10 milioni di morti all’anno entro il 2050. Una problematica nota già da decenni: nel 1956, il dottor Henry Welch della FDA parlava di una “terza era della terapia antibiotica”, basata su combinazioni di farmaci capaci di combattere anche i batteri più resistenti.
La resistenza agli antibiotici: un problema in crescita
L’evoluzione degli antibiotici ha portato dapprima a molecole a spettro ridotto, come la penicillina, poi a farmaci ad ampio spettro come il Terramycin della Pfizer, fino alle combinazioni sinergiche come il Sigmamycin, pensate per batteri diventati immuni ai trattamenti tradizionali. Tuttavia, questa evoluzione ha prodotto anche effetti collaterali ambientali sottovalutati.
Tra le cause dell’antimicrobico-resistenza, vi sono l’uso scorretto degli antibiotici da parte dei pazienti e dei medici, soprattutto nei Paesi a basso reddito, ma anche un fattore meno noto: l’incapacità degli impianti di depurazione di eliminare i residui farmaceutici, che finiscono così nell’ambiente.
Ecofarmacovigilanza: monitorare l’impatto ambientale dei farmaci
Per contrastare questo problema è nata l’ecofarmacovigilanza, che punta a valutare l’impatto ambientale dei farmaci fin dalla fase di registrazione. Dal 2006, le normative europee richiedono questa analisi per ogni principio attivo. Le sostanze farmaceutiche, eliminate attraverso urina e feci, arrivano nei depuratori in forma immodificata o come metaboliti attivi, ma spesso non vengono completamente rimosse.
Di conseguenza, tracce di farmaci sono state rinvenute in fiumi, laghi, mari, falde acquifere e perfino nell’acqua potabile. Inoltre, l’uso dei fanghi di depurazione come fertilizzanti può reintrodurre queste sostanze nei terreni, creando un circolo vizioso di contaminazione.
La Direttiva europea e la responsabilità dell’industria farmaceutica
La nuova Direttiva europea sulle acque reflue obbliga gli Stati membri ad adeguare i depuratori introducendo il trattamento quaternario, l’unico in grado di rimuovere efficacemente i residui farmaceutici. In base al principio della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), le aziende farmaceutiche e cosmetiche dovranno finanziare almeno l’80% dei costi di questo aggiornamento.
Mentre le aziende cosmetiche potranno compensare i costi aumentando i prezzi dei prodotti, le aziende farmaceutiche, soggette a vincoli di prezzo, rischiano gravi ripercussioni. Alcune di esse hanno già presentato ricorso alla Corte di giustizia dell’UE, denunciando il rischio di scomparsa di farmaci essenziali come tamoxifene, metformina, amoxicillina e levetiracetam.
Costi e incognite dell’adeguamento degli impianti
Le stime sui costi di adeguamento variano ampiamente:
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1,21 miliardi di euro secondo la Commissione europea;
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Tra 4,42 e 5,12 miliardi di euro secondo l’Agenzia tedesca per l’ambiente;
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Fino a 6,1 miliardi di euro (con 800 milioni di euro annui di costi operativi) secondo Utilitalia e IRSA-CNR.
Alla luce di queste cifre, l’adeguamento degli impianti appare lontano, mentre la scoperta di nuove classi di antibiotici è ferma dagli anni ’80. Un’alternativa promettente potrebbe essere lo sviluppo di vaccini contro infezioni ospedaliere, oggi in fase sperimentale, rivolti a patogeni come Staphylococcus aureus, Mycobacterium tuberculosis, Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa, Candida albicans, Clostridium difficile e Streptococcus pneumoniae.
