La civiltà del castagno tra storia, clima e identità locale

civiltà del castagno

Nel cuore della Toscana settentrionale, la castanicoltura ha plasmato il paesaggio e la cultura delle Apuane per secoli. Un recente incontro al Castello Aghinolfi di Montignoso, promosso dall’Istituto per la Documentazione sul Castagno, ha riacceso l’attenzione su questa tradizione millenaria, proponendo una riflessione sul ruolo del castagno tra passato, presente e futuro.

Il castagno: protagonista storico del territorio apuano

Il castagno è presente sulle montagne apuane almeno dalla fine dell’ultima glaciazione, come dimostrano i pollini fossili rinvenuti nei sedimenti lagunari della Versilia. Tuttavia, è solo a partire dal XVI secolo, dopo le grandi pestilenze medievali, che la castanicoltura si afferma su larga scala, diventando un pilastro della sussistenza locale.

Nel 1500, i catasti registrano oltre 3.500 particelle fondiarie dedicate ai castagni e più di 120 seccatoi attivi: numeri che testimoniano la diffusione e l’importanza di questa coltura. Durante la Piccola Era Glaciale, quando le colture tradizionali fallivano, il castagno rappresentava una fonte alimentare insostituibile, arrivando a garantire circa un quintale di farina di castagne all’anno per abitante.

I seccatoi: simboli di un’economia di montagna

Lo storico Piero Guadagni ha raccontato l’evoluzione della castanicoltura locale attraverso lo studio dei seccatoi, le strutture destinate all’essiccazione delle castagne. Noti anche come “metati” in altre zone della Toscana, questi edifici rappresentano un patrimonio storico e architettonico unico. Le loro tracce documentano la centralità della castagna nell’economia rurale fino almeno agli anni ’50 del Novecento, quando ancora anche le famiglie benestanti consumavano pasti a base di castagne ogni giorno.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolare nel passaggio della Linea Gotica, gli abitanti della zona sopravvissero grazie alla polenta di castagne, funghi e prodotti spontanei, confermando ancora una volta il valore salvifico del castagno in momenti di crisi.

Un modello di gestione sostenibile

La zona di Lucca e delle Apuane ha sviluppato un sistema di gestione sostenibile del castagneto, già a partire dall’epoca della Repubblica lucchese. L’Offizio sopra le selve, organo collegiale della Repubblica, imponeva il reinnesto obbligatorio dei castagni abbattuti, per garantire il mantenimento del patrimonio forestale. Questo approccio lungimirante ha permesso la conservazione del paesaggio montano e ha favorito una notevole biodiversità varietale, con oltre 100 cultivar selezionate, alcune delle quali a doppia attitudine: legname e frutto.

Le azioni contemporanee per il rilancio

Dal 2000, l’Associazione Castanicoltori della Lucchesia è impegnata nella tutela e valorizzazione della castanicoltura, dopo decenni di abbandono legati a una visione distorta del progresso. L’associazione ha avviato la registrazione di marchi di qualità, ha partecipato alla creazione del Distretto castanicolo regionale e ha promosso consorzi tra produttori.

Una delle iniziative più significative è la nascita dell’Accademia degli Infarinati, impegnata a contrastare l’omologazione del gusto causata dalla grande distribuzione, promuovendo invece la qualità artigianale della farina di castagne e il suo impiego nella ristorazione locale, attraverso la creazione di menu tematici.

Un patrimonio da custodire per il futuro

La “civiltà del castagno” non è solo una filiera agricola, ma un elemento identitario profondo. Ha modellato il paesaggio, influenzato la cultura e sostenuto la sopravvivenza delle comunità montane nei secoli. In un contesto odierno in cui le aree interne rischiano lo spopolamento e l’abbandono, il castagno può tornare ad essere motore di resilienza e sviluppo sostenibile.

È quindi essenziale sostenere ogni iniziativa che renda nuovamente redditizie e attrattive le attività legate alla montagna, restituendo valore a pratiche e saperi che rischiano l’estinzione.