Cavallo di Troia: leggenda dall’Iliade

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Il cavallo di Troia non lo allega nessuno ma lo conoscono tutti. E’ il potere della letteratura, delle leggende e delle storia che nei secoli si tramandano a voce o per iscritto e che i mescolano con la storia trasformando i fatti come le guerre e le conquiste in qualcosa di epico. Lo sa bene il grande Omero che ci ha regalato questo cavallo. Non è vivo, ma è molto molto noto e ancora oggi spesso citato come metafora, anche nel mondo dei computer.



Cavallo di Troia: la leggenda dell’Iliade

Due tomi come l’Iliade e l’Odissea per la nostra cultura occidentale sono due volumi importantissimi perché ancora oggi sono lo strumento migliore per varcare le soglie del mondo antico e tuffarci nelle vicende che sono avvenute secoli e secoli fa sulle sponde del Mediterraneo e non solo. Proprio all’interno delle storie che sono narrate dal grande Omero possiamo trovare quella che vede come vero e unico protagonista il cavallo di Troia.

Prima di passare alla storia di questo “animale”, spendiamo due parole per il suo autore che è ritenuto essere un importante cantore alla corte di un principe della Troade, vissuto intorno all’VIII secolo a. C. Ecco perché nei suoi scritti troviamo il poema di Ilio, cioè della città di Troia, e del suo assedio realizzato dai Greci in età micenea, verso il XII a.C. Dal punto di vista storico esistono delle conferme, Troia è esistita, troviamo i suoi resti nel sito archeologico di Hisarlik in Turchia e possiamo dire che era una città fortificata in Asia Minore, caduta intorno al 1200 a. C.

L’assalto dei greci ebbe successo proprio grazie ad una geniale macchina da guerra concepita apposta per espugnare la città di Troia, uno stratagemma per uscire dallo stallo di dieci anni di assedio.

Eccoci finalmente a narrare la storia del cavallo di Troia. Siamo in guerra, in una guerra per lo più iniziata come spesso accade per motivi commerciali anche se naturalmente dal punti di vista narrativo fa più scena dire che nacque per via del rapimento della bella Elena, moglie del re acheo Menelao, effettuato da Paride, figlio del re troiano Priamo.

Leggendo il poema che Omero ci regala possiamo assistere all’intero episodio immaginandocelo come se accadesse davanti ai nostri occhi. L’episodio del Cavallo di Troia è certamente il più noto e racconta di un cavallo di legno costruito da Epeo, una vera e propria macchina da guerra che ha permesso ai greci di impossessarsi della città di Troia mettendo fine ad un assedio lungo oltre dieci anni. L’esercito lasciò questo cavallo enorme davanti alle porte della città come fosse per propiziare gli Dei ma dentro nascose i suoi uomini più forti, pronti per sferrare un attacco alla città dal suo interno. Il cavallo infatti fu accolto dalla città in sofferenza e con tale mossa gli assediati stessi accolsero in casa il proprio nemico che poté decretarne la sconfitta.

Guerra di Troia: gli eserciti coinvolti

Durante la guerra di Troia troviamo contrapposti nei versi di Omero gli Achei e i Troiani. Gli Achei, i greci quindi, erano organizzati in diversi contingente a capo dei quali vi erano i wànax (sovrani) locali che rappresentavano la nobiltà guerriera e comandavano direttamente i guerrieri che avevano condotto con sé. Non dobbiamo quindi pensare ad un esercito compatto e particolarmente disciplinato ma ad un insieme di schieramenti, ciascuno al seguito di un comandante a cui avevano giurato fedeltà.

Dall’altra parte ci sono i Troiani, gli sconfitti, coloro che accolgono il cavallo di Troia e in poche parole si fanno fregare. Anche in questo caso siamo di fronte ad un esercito composto da più gruppi in corrispondenza dei vari popoli che al tempo vivevano in quelle aree. Ogni gruppo seguiva un comandante, un nobile. C’è però una differenza tra Achei e Troiani. Questi ultimi avevano anche dei contingenti costituiti da veri e propri mercenari “stagionali”, con “contratto a termine”.

Cavallo di Troia: altre teorie, era una nave in realtà?

Nel tempo tra gli studiosi di storia è nato il dubbio sull’identità del cavallo di Troia o, per meglio dire, sulle sue forme. Era davvero un cavallo gigantesco realizzato in legno? Come e perché lo fecero entrare, così strano? C’è chi ha una versione alternativa che potrebbe essere anche più veritiera e aderente alla realtà delle cose, c’è quindi chi pensa che parlando di “hippos” si intendesse indicare una imbarcazione fenicia.

Uno dei sostenitori di questa teoria è l’archeologo navale Francesco Tiboni, dottore di ricerca dell’Università di Marsiglia, collaboratore di diverse università e enti stranieri ed italiani. Il Cavallo di Troia così come lo abbiamo immaginato a scuola studiando l’epica sarebbe frutto di un errore nella traduzione dei testi successivi a Omero, ai quali si ispirò lo stesso Virgilio per comporre l’Eneide. Il Cavallo non era un cavallo, in greco hippos, ma una nave fenicia, un tipo particolare di nave che a tutti gli effetti guarda caso veniva chiamata “Hippos”, appunto.

Espressione Cavallo di Troia: utilizzo nel linguaggio comune

Nave o meno, oggi si utilizza spesso il termine cavallo di Troia facendo riferimento all’episodio leggendario della Guerra di Troia, per riferirsi ad un qualche cosa di insidioso che ci permette di infiltrarci un un ambiente nemico per poi sorprendere l’avversario e vincerlo. E’ quindi sinonimo di inganno, di un inganno piuttosto diabolico proprio come quello raccontato a verso da Omero.

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Cavallo di Troia e Trojan: un pericolo per i nostri PC

Con lo stesso termine possiamo riferirsi anche ad un tipo particolare di malware nell’ambito dell’informatica, detto anche trojan o trojan horse. Anche in questo caso si fa riferimento allo stesso episodio perché le caratteristiche sono le stesse. Il trojan si nasconde all’interno di un altro programma apparentemente utile e innocuo, noi utenti lo installiamo e lo eseguiamo attivando a  nostra insaputa anche il codice del trojan che vi è nascosto. Il nome è legato al fatto che questo malware è ingannevole, nasconde il suo vero fine volontariamente per fregarci proprio come fecero gli Achei con i Troiani.

Pubblicato da Marta Abbà il 5 Dicembre 2020