Trovata morta una balena con 40 chili di plastica nello stomaco
L’inquinamento da plastica non si arresta e a pagarne le conseguenze è in primo luogo la fauna marina. L’ultima vittima in ordine cronologico, una balena trovata morta con ben quaranta chili di plastica nello stomaco.
Si tratta per l’esattezza di un giovane zifio che è stato recuperato nel Golfo di Davao, nelle Filippine. Nel suo ventre è stata rinvenuta un’enorme quantità di sacchetti di plastica, che hanno impedito al cetaceo di mangiare e di idratarsi, causandone il decesso.
Il ritrovamento risale a sabato 16 marzo.
La dinamica
Sabato scorso i curatori del Museo di storia naturale di Davao City hanno ricevuto una chiamata d’allerta da parte della guardia costiera. Gli agenti avvisavano del ritrovamento di una balena dall’aspetto scheletrico e sul punto di morire. Giunti sul posto, i curatori non hanno potuto far altro che recuperare l’ormai carcassa del mammifero.
Al ritorno in laboratorio, la scoperta terrificante. Effettuando la necroscopia, Darrell Blatchley, esperto di mammiferi marini e responsabile del D’Bone Collector Museum di Davao City, ha trovato nello stomaco dell’animale oltre quaranta chili di rifiuti di plastica. Una scena agghiacciante per chi fa dell’amore per gli habitat marini un mestiere. Una notizia talmente triste e sconcertante da fare il giro del mondo nell’immediato.
“Abbiamo tirato fuori la prima busta, poi la seconda“, ha spiegato l’esperto. “A un certo punto abbiamo contato 16 sacchetti di riso, pacchetti di merendine e grovigli di filo di nylon. Ci siamo persino chiesti come avesse fatto a sopravvivere così a lungo“.
L’ammasso inquinante di plastica era letteralmente compresso all’interno del ventre del povero cetaceo, tanto da sembrare un enorme palla da baseball. Alcuni dei rifiuti erano così datati che stavano iniziando un processo di calcificazione.
La causa della morte
L’effetto della plastica è stato devastante. Con ogni probabilità la povera balena è deceduta a causa della fame e della disidratazione dovute ai rifiuti che le hanno occluso lo stomaco, impedendole di mangiare e di assimilare liquidi. Questi grandi mammiferi traggono infatti l’acqua direttamente dal cibo che consumano. E, come scoperto, nel suo intestino non c’erano tracce di cibo assunto di recente.
Le fonti dell’inquinamento da plastica
La plastica è tra i nemici numero uno del pianeta. Si moltiplicano gli studi che parlano dei suoi effetti distruttivi. Questo materiale è presente ormai ovunque: dagli abissi marini al suolo, dall’acqua che beviamo al cibo che consumiamo. Dalla Fossa delle Marianne ai poli, residui di plastica sono stati trovati praticamente in ogni dove, nei mari e negli oceani.
Imballaggi, bottiglie, tappi, sacchetti, reti da pesca. Qualsiasi oggetto di plastica, una volta finito nelle acque marine e oceaniche, si spezza in frammenti sempre più piccoli, sotto l’azione delle correnti e dell’erosione. Ma non basta: le acque planetarie sono contaminate anche da miriadi di microplastiche, che partono direttamente dalle nostre lavatrici. Ben il 35% dei micro-frammenti di plastica che inquinano oceani e mari provengono proprio dai lavaggi dei nostri capi d’abbigliamento. Gli indumenti sintetici, infatti, rilasciano grosse quantità di fibre, inquinando non solo le acque ma finendo anche per contaminare la catena alimentare.
Secondo il rapporto “Primary Microplastics in the Oceans: a global Evaluation of Sources”, presentato dall’Iucn Global Marine and Polar Programme nel 2017, accanto ai lavaggi dei tessuti sintetici, un’altra fonte di derivazione primaria delle minuscole particelle di plastica è costituita dall’erosione degli pneumatici durante la guida. I lavaggi rappresentano il 34% delle fonti di microplastiche primarie, mentre l’erosione dei pneumatici il 28%. Un terzo significativo contributo è dato dalle polveri urbane (24%), mentre i prodotti per l’igiene personale e i cosmetici costituiscono il 2% circa delle fonti di microplastiche primarie negli oceani di tutto il mondo. I pellets di plastica rappresentano lo 0,3%. Tradotte in termini pro capite, queste percentuali equivalgono all’abbandono di 212 grammi di plastica a settimana per ogni abitante del pianeta. Il quadro, insomma, è angosciante. Siamo per caso giunti a un punto di non ritorno?
Pubblicato da Evelyn Baleani il 20 Marzo 2019