Microplastiche negli oceani: trovate anche negli abissi più profondi

Microplastiche negli oceani
Sono una delle emergenze ambientali più urgenti e attuali: le microplastiche, quelle piccole particelle di plastica che inquinano i nostri oceani e i nostri mari. La loro pericolosità per la salute dell’ambiente e dell’uomo è al centro dell’attenzione di studi scientifici internazionali e dell’opinione pubblica di tutto il mondo.

Le microplastiche sono state riscontrate pressoché ovunque dalla scienza: nei pesci, nei molluschi, nell’acqua potabile, nelle feci umane, nel sale da cucina e persino nella birra. Ora, un nuovo studio condotto da un team di ricercatori della Newcastle University, ha rilevato la presenza di queste pericolose particelle nei punti più profondi dell’oceano, dove è impossibile eliminarle e dove vengono inevitabilmente ingerite dagli organismi marini che popolano gli abissi.



Microplastiche negli oceani: lo studio

La ricerca, intitolata “Microplastics and synthetic particles ingested by deep-sea amphipods in six of the deepest marine ecosystems on Earth” e pubblicata sulla rivista Royal Society Open Science, ha dimostrato come non esista alcun ecosistema oceanico non contaminato dall’inquinamento da plastica, che coinvolge persino i luoghi più remoti del pianeta. I biologi della Newcastle University hanno rilevato l’ingestione di microplastiche da parte di organismi viventi in sei delle aree oceaniche più profonde della Terra, comprese tra i 6mila e gli 10.890 metri.

Gli scienziati erano alla ricerca di nuove specie. Tra il 2008 e il 2017, la loro spedizione ha raggiunto sei fosse oceaniche, sul lato occidentale e orientale del Pacifico: la fossa cileno-peruviana, le nuove Ebridi, la fossa di Kermadec, la fossa del Giappone, la fossa Izu-Bonin e la fossa delle Marianne. Le reti dei biologi sono scese fino a quasi 11 chilometri di profondità, catturando creature capaci di vivere in condizioni estreme. I ricercatori hanno analizzato gli stomachi degli organismi, riscontrando la presenza di minuscole fibre di plastica, come poliestere, polivinile e polietilene, provenienti soprattutto dai vestiti.

Tra gli organismi analizzati c’erano 90 esemplari della famiglia di Lysianassidae, minuscoli crostacei dal corpo semitrasparente. Circa il 72% degli esemplari esaminati (65 su 90) presentava almeno una microplastica all’interno dell’intestino. La percentuale più bassa è stata riscontrata nella Fossa delle Nuove Ebridi, dove è risultato contaminato il 50% dei crostacei. La più alta è stata invece osservata nella Fossa delle Marianne, nel punto più profondo della Terra. Qui il 100% dei campioni aveva ingerito almeno una microparticella di plastica.

Una volta che i materiali raggiungono gli abissi oceanici – ha spiegato Alan Jamieson, autore principale dello studio – i rifiuti non hanno nessun altro luogo in cui andare. Un fiume contaminato può essere pulito, l’inquinamento costiero può essere diluito dalle maree, ma nel punto più profondo degli oceani, i rifiuti di plastica stanziano”. E diviene impossibile eliminarli.

Una ricerca che fa riflettere e che dimostra per l’ennesima volta quanto l’impatto dell’inquinamento da microplastiche sia devastante. Per l’ambiente e per la salute di noi esseri umani, che in un modo o nell’altro continuiamo ad assimilare queste minuscole particelle, restando a nostra volta contaminati.

Pubblicato da Evelyn Baleani il 5 Marzo 2019