L’indipendenza energetica dell’Unione Europea e il conflitto Russo-Ucraino

Nelle ultime settimane, abbiamo sentito parlare molto di indipendenza energetica dell’Unione Europea. Questo a seguito di una serie di eventi a livello internazionale; in primis il conflitto Russo-Ucraino, che ha reso evidente la dipendenza del settore energetico europeo dal gas russo e le sue vulnerabilità.

In questo articolo, esaminiamo quali sono i punti deboli dell’Europa in questo ambito, ma anche le azioni adottate e le opportunità per anticipare ulteriormente la transizione energetica per l’indipendenza non solo dal gas russo, ma da tutte le fonti fossili.

Il Contesto Economico e Geopolitico

L’Europa è al centro di una tempesta economica e geopolitica. Negli ultimi 12 mesi, i prezzi dell’elettricità e del gas naturale sono aumentati costantemente, salendo, rispettivamente, del 30% e 65%. Tra i motivi alla base di questa crescita sostenuta, c’è l’aumento della domanda mondiale, corrispondente alla ripresa delle attività economiche e produttive ad alto consumo energetico dopo i lockdown del 2020 e 2021. La domanda non ha trovato riscontro nell’offerta di gas, già particolarmente bassa per gli stoccaggi prosciugati a causa di un inverno particolarmente freddo in Europa e per le difficoltà delle fonti rinnovabili di farvi fronte. In particolare, la Cina ha ripreso a pieno regime la propria attività economica prima di tutti gli altri paesi occidentali, alzando di fatto la domanda mondiale di energia già nel primo semestre del 2021 e accaparrandosi riserve di gas altrimenti destinate all’Europa.

Inoltre, forti periodi di freddo in Asia orientale e Nordamerica nel primo trimestre di quest’anno, seguiti da ondate di calore in Asia e siccità in varie regioni, hanno ulteriormente ridotto l’offerta mondiale di gas.

Il conflitto Russo-Ucraino si aggiunge a tutti questi fattori: la guerra ha dato il via a un consistente pacchetto di sanzioni economiche da parte di molti stati, tra cui quelli europei, ai danni della Russia. Mosca ha risposto a queste sanzioni minacciando l’Unione Europea di interrompere le forniture di gas dal Nord Stream, il principale gasdotto tra la Russia e l’UE. Quando i mercati hanno percepito il rischio di questa interruzione, i prezzi delle fonti fossili hanno subito un ulteriore rincaro.

La guerra in Ucraina e tutte le sue conseguenze economico-politiche hanno reso evidente una cosa: il settore energetico europeo è altamente vulnerabile, e dipendente dagli import dalla Russia. Per avere un’idea concreta di questa sua fragilità, analizziamo più nel dettaglio quanto effettivamente l’Europa produca e importi energia.

La Dipendenza dell’UE dalla Russia

L’Unione Europea produce il 39% della sua energia, importando il restante 61%. Il mix energetico è composto da petrolio (36%), gas naturale (22%), energie rinnovabili (15%) ed energia nucleare (13%).

In particolare, l’UE importa il 90% del gas che utilizza, e il maggior esportatore è proprio la Russia: secondo l’Eurostat, nel 2021 il gas russo rappresentava più del 45% del gas importato (seguito da quello norvegese, appena il 20% degli import). Italia e Germania sono particolarmente dipendenti dal gas russo, che pesa, rispettivamente, sul 49% e 46% degli import nazionali di gas; per non parlare di alcuni paesi dell’ex Jugoslavia, Finlandia e Lettonia, che arrivano a importarne il 100%. E non finisce qui: il 25% degli import europei di petrolio e il 45% di quelli di carbone sono forniti dalla Russia. Basti pensare che solo dall’inizio dell’invasione, la Russia ha venduto all’UE più di 11 miliardi di euro di combustibili.

Questi dati fanno ben intendere la portata delle minacce russe, e la scarsa resilienza del sistema energetico europeo, fortemente dipendente da un unico fornitore di gas.

L’Unione Europea, prima di questo conflitto, era già pronta ad avviare una completa decarbonizzazione con il Green Deal, ma con la costante crescita dei costi energetici, la volontà di aggrapparsi ancora una volta alle fonti fossili (si veda il caso dalla Tassonomia) e di investire sulla difesa si fa sentire con tutta la sua forza.

Questa situazione avviene in concomitanza con l’ultima pubblicazione del IPCC, il quale avverte che qualsiasi ulteriore ritardo nell’azione sul clima mancherà una “breve e rapida finestra di opportunità per assicurare un futuro vivibile e sostenibile per tutti”.

Considerato tutte queste variabili, cosa sta facendo l’UE per rendersi indipendente dalla Russia e, contestualmente, evitare di raggiungere il tipping point della crisi climatica?

tralicci linea elettrica

Tralicci di linee elettriche – Credit: Photo by Matthew Henry on Unsplash

Il REPowerEU

Sul fronte energetico e climatico, la strategia Europea è il REPowerEU: esso punta a ridurne l’indipendenza dalle fonti fossili russe, garantendo contemporaneamente il rifornimento degli stock europei di gas per il prossimo inverno.

Nel breve periodo, il piano consiste nel differenziare l’offerta di gas naturale, aumentando le forniture dall’Azerbaijan e quelle di gas naturale liquefatto da Qatar e Stati Uniti.

Inoltre, prevede un aumento del livello di stoccaggio di gas da parte di tutti gli Stati Membri. Affinché sia possibile raggiungere velocemente l’indipendenza, gli Stati Europei dovrebbero triplicare il livello di riempimento degli stoccaggi di gas entro il prossimo inverno in modo da riempirli per  “almeno il 90%” entro il 1 Novembre di ogni anno (80% per il primo anno). Oggi la media è del 25-30%. La proposta arriverà tra Aprile e Maggio ma gli Stati sono invitati ad “agire subito anche se il processo legislativo è in corso“.

Il piano punta anche a contenere gli effetti dell’aumento dei prezzi dell’energia, con una serie di aiuti economici per le famiglie e le imprese più vulnerabili. Esso, inoltre, incoraggia l’adozione di piani nazionali per identificare i progetti che accelerino la transizione energetica (come l’installazione di nuovi impianti di energie rinnovabili e pannelli fotovoltaici sui tetti).

Nel medio periodo, il REPowerEU incoraggia l’aumento di produzione e import di energia prodotta da biometano e idrogeno, in linea con il pacchetto climatico dell’Unione Europea, ‘Fit for 55’. Inoltre, il piano esorta a ridurre drasticamente l’uso di fonti fossili negli edifici, nell’industria, e nel settore energetico, tramite un aumento dell’efficienza energetica e della produzione di energia rinnovabile.

L’energia solare ed eolica potrebbe portare a considerevoli riduzioni di consumo di gas non solo nel medio periodo: secondo l’IEA, nel 2022 i progetti in cantiere aumenteranno l’output delle due energie di 100 TWh (+15% rispetto al 2021), a cui si potrebbero aggiungere altri 20TWh se un processo accelerato per i permessi amministrativi fosse attuato. La Commissione Europea, inoltre, sostiene di poter aumentare la potenza energetica solare di 15 TWh dai pannelli fotovoltaici sui tetti  entro la fine del 2022 (corrispondenti a circa 2,5 miliardi di metri cubi di gas risparmiati).

Sulla base di quanto detto, Il piano RePowerEU costituisce un’importante accelerazione sui target climatici ed energetici europei, per rimuovere gradualmente almeno 155 miliardi di metri cubi di consumo di gas fossile, equivalente al volume importato dalla Russia nel 2021.

Quindi il REPowerEU può essere la soluzione alla crisi climatica? No, lo è solo in parte. E’ un buon passo in quella direzione, ma non è ancora all’altezza di ciò che è necessario per liberarci dai combustibili fossili.

Ostacoli e Soluzioni per la Transizione

All’interno del REPowerEU, ci sono alcune aree grigie che potrebbero essere risolte per accelerare il processo di transizione. Vediamo più nel dettaglio cos’altro potrebbe sostenere questo passo verso la decarbonizzazione completa.

pale eoliche

Parco eolico visto dall’alto – Credit: Photo by Thomas Richter on Unsplash

Energie Rinnovabili

Il REpowerEU, tra le varie azioni in promozione delle fonti rinnovabili, prevede anche l’installazione di 10 milioni di pompe di calore nei prossimi cinque anni. In aggiunta a questa decisione, sarebbe ottimale vietare completamente la vendita delle caldaie a gas: in questo modo, il riscaldamento delle nostre case avverrebbe completamente senza l’utilizzo di fonti fossili. Ovviamente, questo soluzione sarebbe completamente efficace se le pompe di calore venissero alimentate da impianti fotovoltaici e solari, e con gas rispettosi per il clima.

Un’altra criticità che abbiamo rilevato riguarda la necessità di semplificare le lunghe procedure amministrative relative all’adozione di impianti rinnovabili. La proposta della Commissione di elargire permessi più veloci è una buona notizia per accelerare la transizione energetica. Tuttavia, questo potrebbe potenzialmente intaccare la sicurezza e stabilità della biodiversità europea, a meno che non vengano fatti gli sforzi necessari per mappare e scegliere le aree pienamente adatte a questi investimenti. In altre parole, le rinnovabili sono fondamentali per raggiungere sia l’indipendenza energetica che la completa decarbonizzazione ma bisogna essere consapevoli delle conseguenze non intenzionali sulla natura e sulle persone che la loro produzione, trasmissione e distribuzione può portare.

Inoltre, il potenziale delle rinnovabili può essere completamente sfruttato con cospicui investimenti sulle batterie per immagazzinare energia, misura attualmente non prevista dal piano europeo. Inoltre, gli investimenti sulle tecnologie rinnovabili sono accomunati da un ostacolo: le tecnologie verdi richiedono un ingente uso di terre rare e metalli che sono in parte importate dalla Russia. Anche in questo caso, l’UE dovrà probabilmente cercare nuovi partner commerciali per l’approvvigionamento di queste materie.

Infine, il REPowerEU potrebbe causare una forte sopravvalutazione di energie rinnovabili con dubbie credenziali Green, come per esempio il biogas. L’aumento di produzione dal biogas è associata a diversi fattori. In primis, all’aumento di allevamenti industriali (nel caso in cui si usi il letame per la produzione), che dipendono pesantemente dai mangimi importati – anche dalla Russia e dall’Ucraina – e dalle aree disboscate del Sud America. In secondo luogo, se si usano i rifiuti alimentari, si potrebbe rallentare o eliminare progressivamente i passi avanti nella prevenzione e riduzione dei rifiuti. Basti considerare che ridurre  lo spreco di cibo porta a un risparmio sulle emissioni di C02 9 volte maggiore rispetto alla sua trasformazione in biogas.

Inoltre, usare i resti alimentari per l’alimentazione animale permette di ridurre ulteriormente le emissioni di circa tre volte.
Infine, l’aumento della produzione di biogas potrebbe esacerbare la competizione per la terra tra cibo, mangimi e carburante, poiché la maggior parte degli impianti di biogas non può funzionare solo con i rifiuti, e richiede colture energetiche aggiuntive come materia prima. Decuplicare la nostra produzione di biogas entro il 2030, data la nostra dipendenza da cereali e semi oleosi ucraini e russi, sembra un passo altamente rischioso e dannoso.

Gli incentivi alle fonti fossili

Inoltre, il REPowerEU permette, in via temporanea, di utilizzare i ricavi dalla vendita delle quote di emissioni del mercato europeo ETS per sostenere le imprese ad alta intensità energetica. In parole più semplici, l’Unione Europea ha previsto sussidi per le imprese più inquinanti colpite dall’aumento dei prezzi delle fonti fossili per un imprecisato periodo di tempo. Con il REPowerEU, la Commissione non può promuovere una massiccia diffusione delle energie rinnovabili e allo stesso tempo aprire la porta a più sussidi per i combustibili fossili: ciò andrebbe completamente contro l’obiettivo della climate neutrality.

proiettili

proiettili – Credit: Photo by Mykola Makhlai on Unsplash

Gli investimenti sulla difesa

A queste misure in campo energetico, si aggiunge quanto deciso nel nella Dichiarazione di Versailles (11 Marzo 2022), un documento che racchiude le modalità di rafforzamento della sovranità europea e attuazione di un nuovo modello di crescita e investimento. Nelle settimane passate, alcuni Paesi dell’Unione avevano già preso decisioni di particolare peso: la Germania ha infatti investito cifre da record per la difesa, portando la spesa militare ben al di sopra del 2% del PIL richiesto dagli accordi tra i Paesi NATO. “La guerra di aggressione della Russia segna un cambiamento epocale nella storia europea” si legge nella Dichiarazione: per tale motivo l’UE ha deciso di assumersi “maggiori responsabilità” nel campo della sicurezza. È previsto un aumento degli investimenti nella difesa da parte dei firmatari, ragion per cui, prima dello svolgimento degli incontri di metà maggio, dovrà essere presentata “un’analisi delle carenze di investimenti in materia di difesa” da parte della Commissione. Gli Stati si impegnano inoltre a perseguire l’invio di “tutti i mezzi disponibili” verso l’Ucraina, tramite lo strumento europeo per la pace: questo fondo dell’Unione, con uno stanziamento di 5 miliardi per il periodo 2021-2027, consente l’invio di risorse e armi.

Queste misure difensive generano un aperto controsenso con l’intenzione di carbon neutrality. Infatti, l’industria bellica ha un altissimo impatto ambientale, causando una conseguente crescita della dipendenza da fonti fossili, oltre al rischio di scatenare conflitti su territorio Europeo sotto la bandiera della pace perpetua.

Il conflitto in Ucraina ha messo l’accento su una tematica altamente rilevante per la transizione energetica, ossia l’indipendenza del settore energetico europeo, innescando una serie di azioni e di dichiarazioni indirizzate a questo obiettivo. La presidente della Commissione Europea afferma: “Siamo determinati a limitare la capacità di Putin di finanziare questa guerra orrenda. L’UE deve necessariamente liberarsi dalla sua dipendenza dai combustibili fossili”. La risposta con il REPowerEU, nonostante sembri andare in questa direzione, pecca di ambizione, rivelando diverse carenze da affrontare al più presto, per il bene sia della transizione che dell’indipendenza energetica.

di Laura Marinelli, ricercatrice sui rischi finanziari del cambiamento climatico e sulle politiche di Transizione Ecologica, al secondo anno di dottorato in Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici, al dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari e Stefano Cisternino, europrogettista e giornalista sociopolitico.