Cosa sono i test sierologici per il coronavirus e a cosa servono

Cosa sono i test sierologici per il coronavirus

Con il coronavirus, dalla Cina a “sempre più vicino” e sempre più ingombrante nei notiziari e anche nella vita quotidiana, sono diventate d’uso frequente delle parole che prima non abbiamo magari mai nemmeno sentito pronunciare se non siamo dei medici e non lavoriamo nel settore sanitario. Già la differenza tra Covid 19 e Coronavirus non è così immediata, e i due termini su usano in modo interscambiabile, ma questa è un’altra storia. Oggi vogliamo capire meglio cosa sono in test seriologici per il coronavirus di cui tanto sentimao parlare e a cosa servono. Se servono (ma scopriremo che la risposta è sì).



Senza volerci sostituire a chi ne farà uso, cerchiamo di capire nella pratica di che cosa si tratta e che utilizzo se ne vuole fare nelle prossime settimana per cercare di gestire il rischio di contagio e la famosa fase 2 che tutti noi aspettiamo con ansia anche se non sappiamo ancora bene che caratteristiche avrà.

A cosa servono i test sierologici per il coronavirus

Si tratta di test che vengono effettuati sul sangue e che alcuni esperti vorrebbero fare e stanno in parte già facendo per comprendere meglio che dimensione ha il Italia il contagio, entrando anche nel merito dei numeri e delle percentuali per le varie Regioni, visto che sembrano esserci delle situazioni molto differenti. Diversamente da altre malattie virali, quella innescata dal coronavirus non è facile da valutare perché può dare degli effetti molto diversi e a volte nemmeno percepibili. Giorno dopo giorno, anche chi non segue pedissequamente la questione, avrà certamente capito che questo virus colpisce con intensità anche molto differenti dividendo i contagiati in diverse categorie.

Ci sono gli asintomatici, difficili da stanare e riconoscere, e i paucisintomatici, con pochissimi sintomi e che quindi non ricorrono nemmeno al ricovero ospedaliero, e poi c’è chi finisce in rianimazione, in gravi condizioni. A causa di questa varietà di segnali, sorge la necessità di non basarsi solo sui sintomi percepiti ma di andare ad indagare in modo più preciso quale sia la reale percentuale delle persone che hanno contratto il virus. Per questo si svolgono indagini di sieroprevalenza tramite test sierologici, cioè sul sangue.

Non è finita. Una volta che abbiamo in mano queste percentuali, nazionali e regionali, possiamo andare a fare moltissimi studi che poi forniscono dati importanti per chi deve prendere delle decisioni ad alto livello, che impattano su tutti gli altri, a catena. Conoscere ad esempio il tasso di letalità in base all’area geografica, oppure in base alle fasce d’età o alla distribuzione dei generi è un risultato prezioso che ci aiuterebbe anche a stoppare la diffusione di fake news. Fin dall’inizio, infatti, ne sono girate parecchie e oggi senza numeri è difficile smentirle. Capire come il virus si comporta, è necessario per il presente ma anche per il futuro, per sapere quanto, quando e come allentare le misure restrittive, i tanti divieti a cui oggi siamo sottoposti tutti, in mezzo mondo, in tutta l’Italia.

Cosa sono i test sierologici per il coronavirus

Cosa sono i test sierologici per il coronavirus

Ora che abbiamo compreso come mai serve questo esame, andiamo a vedere in cosa consiste. Serve un prelievo di sangue ma non può ad oggi essere effettuato e tutti. E’ quindi necessario giungere ad un compromesso e accettare di fare una stima, andando a testare solo un gruppo di cittadini, solo un campione della popolazione, per ricavare una percentuale di infetti, grazie a quegli strumenti statistici messi a disposizione dei ricercatori in queste situazioni come in altre.

Serve avere la dimensione del contagio, e questo è un modo di farlo

Per realizzare questi test, non servono i tamponi che di solito vengono usati per identificare gli attuali positivi al virus ma degli esami sul sangue. Attraverso di essi si scopre cosa è avvenuto nel passato, se c’è stato il contagio, anche se magari nessuno se ne è accorto perché abbiamo a che fare con un soggetto asintomatico.

Immaginiamoci quindi le classiche analisi del sangue, quelle che tutti noi facciamo quando andiamo a fare un prelievo. In alcuni casi addirittura basta una sola goccia di sangue, proprio come accade per la misurazione della glicemia nei pazienti diabetici. Il risultato del test ci racconta se una certa persona nella sua vita è entrata in contatto col nuovo coronavirus ed è rimasto infetto, al di là della drammaticità dei sintomi che ha poi rilevato.

Cosa ci dicono i test sierologici

Un’altra informazione molto interessante che possiamo ricavare da questi test riguarda la possibilità di sviluppare l’immunità, di avere quindi gli anticorpi specifici per il Sars-CoV-2. Il test tecnicamente parlando, va a sondare l’eventuale presenza di anticorpi IgM e IgG per il Sars-CoV-2. I primi compaiono subito ma restano per poco tempo, un paio di settimane, se quindi vengono rilevate durante il test, significa che c’è stata una infezione e anche piuttosto di recente. Le altre immunoglobuline, le IgG, hanno altri ritmi. Arrivano tardi e restano anche per diversi mesi, per cui se vengono rilevate durante i test sierologici, significa che c’è stata infezione ma parecchio tempo prima, non di recente.

Il Ministero della Salute spiega ufficialmente che l’eliminazione del virus “solitamente si accompagna alla comparsa di anticorpi specifici di tipo IgG per il Sars-CoV-2 prodotti dall’organismo”.

dottore provetta coronavirus

I test sierologici in Italia

Di regione in regione troviamo delle situazioni diverse, in alcune vengono già effettuati questi test mentre altre si stanno organizzando e dovrebbero partire nelle prossime settimane. Tutto è in veloce ma continua evoluzione è difficile descriverla quindi senza temere che cambi subito dopo.

Siamo di fatto in fase di sperimentazione, si cerca di studiare la validità di questi test e la reale efficacia andando a testare prima delle persone che hanno avuto il virus per capire che riscontro dà il test del sangue, poi dei gruppi a minor rischio per andare a lavorare sulla parte statistica del test e ricavare delle stime regionali e nazionali.

Un altro step sarebbe poi quello di valutare anche la quantità degli anticorpi per capire se, una volta avuto il virus, si risulta protetti. Non diamolo per scontato perché potrebbe succedere che quando la positività è lieve, il soggetto non diventi poi immune, è un aspetto ancora da indagare e questo ci fa capire meglio le complessità degli studi medici da cui oggi pretendiamo delle certezze, difficili quando si fa della ricerca.

Pubblicato da Marta Abbà il 23 Aprile 2020