Acido polilattico PLA e altre bioplastiche

Acido polilattico PLA

PLA non è un simpatico diminutivo di plastica ma sta per acido polilattico PLA. È un materiale dalle interessanti caratteristiche che speriamo di vedere in futuro in alacre concorrenza con la plastica che vogliamo tanto eliminare dal pianeta. Si tratta di un poliestere termoplastico che si ottiene dal mais, è biodegradabile se conservata a opportune condizioni, ed è una delle prime bioplastiche ad essere commercializzate e impiegate su larga scala, la seconda per la precisione.



Acido polilattico PLA: caratteristiche

È una bioplastica che presenta degli aspetti ancora migliorabili, ad esempio è molto sensibile all’umidità e questo la può rendere non più biodegradabile. A livelli elevati di umidità diventa anche molto sensibile alle temperature, tanto che sopra i 60°C addirittura si decompone. Oggi purtroppo però non siamo in grado di approfittare di questo vantaggio perché il PLA viene riciclato insieme alla plastica tradizionale.

Oggi questo materiale comincia a diffondersi e a non essere più di nicchia. Il primo settore che lo vede utilizzato è quello degli imballaggi in cui ne troviamo il 70% di quello prodotto. Immaginiamo imballaggi di generi alimentari come latte e pane, succhi e acqua, ma anche di profumi, saponi e grassi. Per ora è necessario prestare molta attenzione ai liquidi caldi, non possono essere conservati in contenitori di acido polilattico PLA perché questo materiale perderebbe la sua consistenza e diventerebbe molle.

Nel frattempo, mentre si cerca di migliorarne le caratteristiche, si è iniziato ad usarlo anche in altri contesti con risultati interessanti ma ancora sperimentali. Per il settore agricolo è ancora troppo costoso mentre per quello delle auto può essere accessibile. Troviamo sul mercato alcune auto con rivestimenti fatti con miscele di PLA e fibre. Ci sono dei tentativi di utilizzo di PLA anche nel mondo informatico. Fujitsu già produce stampaggio ad iniezione tasti delle tastiere e case di computer, mentre Sony ha iniziato a produrre case di apparecchiature elettriche con l’85% di PLA. In Giappone è stato creato anche il primo compact disc interamente in PLA, con una singola pannocchia ne possiamo produrre una decina.

Acido polilattico PLA

Altre bioplastiche. caratteristiche

Quando parliamo di bioplastica cerchiamo di trovare  una alternativa alla plastica tradizionale che abbia un impatto minore sull’ambiente perché ricavata da materiale organico e per tanto non inquinante.

Prima abbiamo visto che se ne può ricavare dal mais ma non solo: esistono bioplastiche che derivano anche da frumento, barbabietola o altri cereali. L’obiettivo è quello di arrivare ad un materiale paragonabile alla plastica ma assolutamente biodegradabile che dopo qualche mese scompare dalla faccia della Terra come per magia oppure diventa un concime per fertilizzare i nostri campi. La plastica tradizionale, ricavata dal petrolio, permane per tempi inimmaginabili.

Uno dei prodotti che possiamo avere tra le mani è il sacchetto di bioplastica, non sempre facile da riconoscere, l’unica soluzione è controllare la presenza della dicitura “biodegradabile e computabile”. Se viene citato lo standard europeo (UNI EN 13432:2002). E infine se compare il marchio di un ente certificatore, che tutela il consumatore come soggetto terzo (Cic, Vincotte e Din Certco sono alcuni dei più noti).

Per quanto riguarda il processo di riciclo è importante sapere che solo la bioplastica si può riciclare assieme alla plastica vergine, quando arriva a fine ciclo di vita solo per il 10%. È necessario smaltirla separatamente per non rovinare il recupero della plastica vergine perché solo entro la soglia del 10%, le bioplastiche non danneggiano in alcun modo la raccolta differenziata delle plastiche vergini. In casa dobbiamo prestare molta attenzione e mettere imballaggi, stoviglie e bicchieri biodegradabili nella frazione organica, nel cassonetto dell’umido, nei sacchetti biodegradabili.

Altre bioplastiche: utilizzo

Vediamo come viene oggi utilizzata la bioplastica, con discreto successo. La troviamo nei campi coltivati, nei bioteli per la pacciamatura dove risolve il problema dello smaltimento dei rifiuti perché la pellicola viene lasciata a decomporsi in modo naturale.

E in futuro? Ci sono grandi speranze per i biopolimeri che, secondo uno studio dell’Università di Utrecht, potrebbero sostituire buona parte delle materie plastiche di origine petrolifera. La partita è ancora tutta da giocare ma nel frattempo la produzione di bioplastica potrebbe raddoppiare nel corso del prossimo decennio ma va sicuramente risolta la questione dei costi, troppo alti e poco competitivi. C’è sicuramente una più presente consapevolezza di molti paesi e istituzioni del pericolo di una invasione di plastica e stiamo vedendo molte iniziative e prese di posizione coraggiose ma è molto importante che l’essere ambientalista smetta di coincidere con il dover sforare il bilancio.

Pubblicato da Marta Abbà il 18 Novembre 2019