Plastica biodegradabile: studi e cose che dovresti sapere

plastica biodegradabile

Con il termine “plastica biodegradabile” o “bioplastica” si fa riferimento a un tipo di plastica prodotta a partire da materia organica oppure a base di poliesteri sintetici caratterizzati da biodegradabilità. Alcuni esempi di plastica biodegradabile sono quelle a base di amido di mais, grano, tapioca, patate, fecola di patate o scarti vegetali come bucce di patate. Il panorama della plastica biodegradabile ospita anche materiali a base di cellulosa, polidrossialcanoati e altri poli acidi (dalle sigle PHA, PHB, PHV, PHH).

E’ vero che le bioplastiche sono biodegradabili ma fanno davvero bene all’ambiente?

Secondo uno studio pubblicato dalla Federal Environment Agency tedesca, la plastica biodegradabile non offre alcun vantaggio ambientale rispetto alla plastica tradizionale. Il motivo? Secondo la ricerca tedesca la plastica, anche se biodegradabile, non finisce nei sistemi adeguati di compostaggio ma viene smaltita in discarica e tenuta in luoghi asciutti  che in realtà inibiscono la biodegradazione.

Nel libro intitolato “Rubbish!: The Archaeology of Garbage” (Immondizia!: L’archeologia della spazzatura), l’autore William Rathje spiega che se la bioplastica dovesse degradarsi in discarica la situazione sarebbe ancora peggio: la bioplastica, nel degradarsi, rilascia anidride carbonica e metano, in più può causare inquinamento del suolo e delle acque piovane.

Altri dubbi sorgono sui processi produttivi legati alla plastica biodegradabile, per dirne qualcuno: la materia prima di origine vegetale (patate, grano, mais…) è coltivata mediante agricoltura convenzionale, pertanto le colture vengono abbondantemente fertilizzate o addirittura sono state prodotte con semi geneticamente modificati.

Sacchetti di plastica biodegradabile: lo studio dell’università inglese di Plymouth

Uno studio condotto nel 2015 da Richard Thompson, un biologo marino che ha dedicato la sua carriera allo studio dei rifiuti di plastica tanto da meritare l’Ordine dell’Impero Britannico dalla regina Elisabetta, ha valutato le conseguenze della degradazione naturale relativamente a diverse tipologie di sacchetti della spesa etichettati come biodegradabili.

I risultati hanno determinato che dopo 3 anni, buona parte dei sacchetti seppelliti in diversi tipi di terreno erano ancora integri e resistenti, tanto da poter trasportare ancora un peso di 5 kg.

Potete leggere l’articolo originale relativo allo studio in questa pagina del sito ufficiale dell’Università di Plymouth (in lingua inglese).

La posizione di Assobioplastiche sullo studio dell’università inglese di Plymouth

Assobioplastiche,  l’associazione italiana dei produttori di bioplastiche, in merito allo studio di Richard Thompson, ha voluto precisare che lo studio non è altro che la conferma di quanto sia importante sensibilizzare i consumatori verso la necessità di gestire correttamente i sacchetti biodegradabili e compostabili nell’apposito circuito dell’umido e che in ogni caso, questi sacchetti presentano un impatto ambientale ridotto in quanto, se arrivano a contatto con l’acqua del mare si decompongono in soli 3 mesi.

Lo studio evidenzia inoltre quanto sia scorretto utilizzare il termine “biodegradabile” per prodotti a base di polimeri tradizionali o con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (c.d. oxo-degradabili). Gli unici prodotti a potersi fregiare correttamente di tale definizione sono quelli in bioplastica compostabile, come peraltro già chiarito nel 2015 in Italia dall’AGCM (Direzione Tutela del Consumatore) nel caso dei sacchetti oxo-degradabili, all’epoca utilizzati da alcune insegne della GDO.

«La soluzione non è la biodegradazione in quanto tale (che comunque i sacchetti in bioplastica compostabile possiedono a differenza degli altri), quanto la ricerca e l’applicazione di modelli di corretta gestione dei rifiuti organici, di cui l’Italia è esempio virtuoso.

Insomma, in altre parole, la plastica biodegradabile è vantaggiosa per l’ambiente solo se il consumatore si addossa il compito di compostare quel materiale. In questa ottica, la plastica biodegradabile potrebbe essere un’ottima risorsa per il pianeta ma se il compostaggio non è la vostra passione, meglio affidarsi alle pratiche di riciclo e prediligere, in ogni caso, le buste di stoffa ai sacchetti in bioplastica!

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Pubblicato da Anna De Simone il 28 Ottobre 2019