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Le Olimpiadi spingono il telelavoro, ma l’Italia dov’è?

 

Il telelavoro può migliorare la vivibilità delle nostre città

Con le Olimpiadi Londra sceglie il telelavoro. Nella capitale inglese in tilt per i Giochi i dipendenti pubblici lavoreranno da casa per sette settimane sperimentando un sistema che ha ricadute positive sulla conciliazione famiglia-lavoro e sulla vivibilità delle città. In Italia, intanto, sono ancora fortissime le resistenze a cambiare abitudini verso uno stile di vita anche più rispettoso dell’ambiente.

La vita degli abitanti di Londra durante le Olimpiadi cambierà profondamente, per molti anche dal punto di vista lavorativo. Per evitare che traffico e trasporti vadano in tilt nella città invasa dai visitatori per i Giochi, già dal 21 luglio e fino al 9 settembre, quando termineranno anche le Paralimpiadi, i dipendenti della pubblica amministrazione possono lavorare da casa. E il 50% delle aziende private ha concesso al proprio personale una maggiore flessibilità.

Secondo Linda Gilli, amministratore delegato di Inaz, una delle più importanti società italiane a occuparsi di software e servizi per l’amministrazione del personale e la gestione delle risorse umane: “La decisione delle autorità londinesi avrà ricadute positive sulla vivibilità della città e farà scoprire a tanti londinesi un sistema con cui i dipendenti possono conciliare famiglia e lavoro mentre le aziende risparmiano, senza perdere in produttività”.

 Ma in Italia si potrebbe anche solo pensare una cosa del genere? “Nel nostro Paese il telelavoro stenta ad affermarsi – continua Gilli –. Una ricerca Isfol Plus del 2008 rileva che le aziende italiane che prevedono il telelavoro sono il 4,3%. Sarebbero quindi 770mila i dipendenti che in teoria potrebbero lavorare da remoto, ma solo 55mila adottano realmente questo sistema”.

Eppure anche noi abbiamo la tecnologia e il software per costruire, con il telelavoro, un vero e proprio accordo win-win per dipendenti e aziende. I primi sarebbero in grado di lavorare in rete, da qualunque luogo e in qualunque orario, senza dover fare i salti mortali per seguire la famiglia; le seconde risparmierebbero sui costi di gestione delle sedi e aumenterebbero l’efficienza grazie alla flessibilità. Per non parlare degli effetti positivi su traffico, inquinamento e trasporti per i pendolari.

Che cosa frena il diffondersi del telelavoro in Italia? Secondo Linda Gilli nel nostro Paese fatica a stabilirsi un rapporto di fiducia tra lavoratore e azienda: “Molti datori di lavoro non riescono a fare a meno della presenza in ufficio e della timbratura del cartellino per controllare il dipendente. Certo, il rapporto faccia a faccia è indispensabile. Anche quando si lavora a distanza è necessario programmare, in modo accorto e costante, una serie di incontri diretti in sede, indispensabili per organizzare il lavoro, per valutare i progetti in corso e per non perdere mai il contatto personale che è alla base di ogni rapporto sereno e produttivo.

Ma oggi abbiamo tanti strumenti che possono fare del telelavoro un’opzione praticabile: dai software per rilevazione presenze, anche su dispositivi mobili, a soluzioni come il Portale del Dipendente con cui i lavoratori hanno sempre un filo diretto con l’azienda. Così il lavoro da remoto può essere una scelta vincente”.

In ultima analisi, però, il ritardo italiano sul telelavoro, più che tecnologico, è culturale: “Orari, servizi e stili di vita nella nostra società – osserva Gilli – sono ancora, in larga parte, pensati come se ogni lavoratore a tempo pieno avesse al proprio fianco qualcuno che contemporaneamente si occupasse di casa e famiglia. Una cosa completamente al di fuori della realtà”.

A cura di Michele Ciceri

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