Come uccidere un cane … e andare in prigione!

Come uccidere un cane e … andare in prigione! Se sei arrivato a leggere questo articolo è possibile che tu sia tra i 320 italiani che mediamente ogni mese cercano “come uccidere un cane” su Google. Se così fosse è bene che tu sappia alcune cose importanti.

Uccidere un cane è un reato

Sì, è un reato punibile penalmente: come recita l’articolo 544-bis del codice penale: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da 4 mesi a 2 anni”. Non si tratta più, dunque, solo di un “delitto contro il patrimonio” (cioè il bene protetto è la proprietà privata dell’animale da parte di un proprietario), come è previsto dall’art. 638 (Uccisione o danneggiamento di animali altrui). La differenza è stata chiarita dalla Cassazione (sentenza n. 24734/2010), che sancisce come il delitto di cui all’art. 544 ter c.p., tutela ora il sentimento per gli animali: con l’art. 638 l’animale era tutelato quale “proprietà” di un terzo soggetto, che risultava essere la parte offesa; ma con l’art. 544 ter, è riconosciuta una condotta lesiva nei confronti dell’animale stesso. Si riconosce, quindi, il reato in quanto compiuto nei confronti di un essere senziente, che prova dolore, paura e sentimenti, proprio come gli esseri umani.



Anche collocare esche o bocconi avvelenati è reato ed è assolutamente vietato dalla legge: secondo l’articolo 544 ter: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale”.

Non puoi più mantenere un cane? Ecco alcune soluzioni 

Come già detto, il cane è un essere senziente. Il suo mondo ruota intorno a noi, vive esclusivamente per stare con i suoi umani e molti animali, dopo l’abbandono, muoiono di crepacuore o si lasciano andare. Decidere di disfarsi di un cane che è vissuto tutta la vita in famiglia, al sicuro, significa spezzargli il cuore. Il cane è un animale estremamente leale, non tradirebbe mai la nostra fiducia. Per questo la perdita dei suoi punti di riferimento spesso equivale comunque a una vita di tristezza e dolore. Se ci sono situazioni gravi che possono farci arrivare a prendere in considerazione persino l’uccisione del proprio cane, o quello di un’altra persona, esistono possibilità alternative.

La prima cosa da fare è interpellare le organizzazioni animaliste strutturate in tutto il territorio nazionale (Enpa, Lav, Associazione animalisti italiani) e i volontari: scrivendo su Google il nome della propria città appare l’elenco delle onlus che si occupano della tutela degli animali. In genere i volontari, dopo aver ascoltato la vostra storia, cercano una soluzione che possa tutelare prima tra tutti il cane. Se c’è un problema di malattia dei proprietari, ad esempio, i volontari possono cercare uno stallo per l’animale fino a che la persona non sia tornata in salute.

Ci possono anche essere difficoltà economiche o trasferimenti: queste persone studieranno insieme ai proprietari la soluzione giusta, sempre a tutela dell’amico a quattro zampe. Il cane di un vicino ci disturba o, nel caso degli allevatori, ha ucciso un capo del bestiame? I volontari troveranno il modo per raggiungere una convivenza civile e pacifica. Perché spesso quello che sembra un problema insormontabile è molto più semplice di quello che si pensa.

Fine vita del cane: accompagnamento empatico o eutanasia

Si può arrivare a pensare di uccidere il proprio cane perché è molto malato e la sua sofferenza ci diventa insopportabile? David Bettio, medico veterinario, presidente della Società Italiana di Omeopatia Veterinaria, spiega come avvicinarsi a questo momento drammatico in piena consapevolezza, rispettando per primo il paziente: il nostro amico a quattro zampe.
Dottor Bettio, cos’è l’accompagnamento empatico o l’eutanasia?

La questione dell’eutanasia in veterinaria è un fatto molto delicato e complesso perché si intersecano diverse considerazioni sul piano strettamente medico ma anche etico e relazionale.

Nella mia esperienza affronto costantemente il fatto di ricorrere all’eutanasia di un cane o un gatto oppure di poterlo accompagnare verso la morte senza l’atto eutanasico.

Le circostanze sono sempre individuali perché dipendono dalla situazione clinica dell’animale e dal ciò che il proprietario desidera fare in qual momento per il proprio compagno a quattro zampe.

L’eutanasia che sia effettuata per via farmacologica, oppure tramite un accompagnamento è un fatto con il quale il veterinario si confronta sin dall’inizio della sua professione. Mi sento di dire anche che non c’è un’adeguata preparazione ad affrontare questo atto medico che avrebbe bisogno di approfondimenti e riflessioni più adeguate nella nostra formazione.

Ricordo ancora quando ho assistito alla prima eutanasia di un cane. Stavo facendo un tirocinio pratico in una clinica veterinaria e a un giovane dalmata fu diagnosticato un emangiosarcoma alla milza e al fegato. Una situazione molto grave e senza ritorno. Il cane però sembrava ancora nelle sue piene facoltà cognitive. Fu deciso comunque di proseguire con l’eutanasia vista la prognosi infausta per la malattia inguaribile. Rimasi scosso perché al tempo ero impreparato ad affrontare tali situazioni. Però fu l’inizio di alcune riflessioni sulla necessità di ricorrere all’eutanasia in tempi così veloci.

Un’altra esperienza invece riguarda un pastore tedesco molto trascurato. Anche questa situazione era drammatica, ma molto diversa dalla precedente. Arrivato nei pressi dell’ambulatorio, il proprietario lasciò il cane nel baule dell’automobile perché era in stato comatoso: avvicinandomi sentivo un brulichio che proveniva dal cane. Era invaso da larve di mosca. Non vi dico la pena e la sofferenza. In quel caso non c’era nulla da fare e decidemmo per l’eutanasia proprio in quel momento.

Nell’arco degli anni vissi anche un’esperienza famigliare molto toccante. Mia nonna stava molto male per un tumore metastatico alle ossa. Ricordo diverse notti passate a vegliare la nonna a fianco al letto dell’ospedale mentre si avvicinava alla morte con l’ausilio di cure palliative. Quei momenti sono stati davvero molto preziosi nonostante la tristezza e la pena, momenti di attesa e accompagnamento. Avevo la sensazione che anche l’attesa fosse una possibilità di affrontare la morte di una persona cara.

Queste sono state esperienze significative che hanno orientato il mio operato nella professione, poiché, ai tempi in cui ho frequentato l’Università, la questione “eutanasia” non è stata mai affrontata. La decisione di come condurre questi momenti è un atto intimo e delicato perché porta a termine una relazione.

L’accompagnamento empatico è un patto tra proprietario e medico nel quale ci si prende del tempo per entrare in una dimensione di ascolto, di riflessione e di esplorare le emozioni di un momento così difficile ma inevitabile.

Abbiamo un rapporto strano con l’eutanasia perché è in rapporto con le nostre più profonde emozioni e convinzioni spesso nel del tutto consce e consapevoli. Tuttavia si ricorre tutti i giorni all’eutanasia di milioni di animali sani, per ragioni alimentari o mediche (ricerca). Questo atto è diventato una procedura consolidata tanto da non indurci nella riflessione più profonda del rapporto che abbiamo con gli animali, alcuni dei quali sembrano non meritare le considerazioni che invece facciamo per i nostri cani e gatti.

Perché molte persone che vivono con un animale non vogliono affrontare l’argomento?

Non posso fare alcuna generalizzazione rispetto al modo in cui le persone vivono questo argomento, sia rispetto all’eutanasia sia rispetto all’accompagnamento. Ogni persona ha un rapporto esclusivo con il proprio animale e questo porta a una molteplicità di comportamenti. Ciò che posso dire è che in realtà spesso non si è pronti per affrontare la morte e il distacco da una relazione nella quale si è investito molto. Nonostante la morte sia sotto i nostri occhi tutti i giorni, ci coglie spesso impreparati. Vogliamo che i nostri animali vivano a lungo e quando se ne vanno, portano con loro un pezzo della nostra vita. Questo è un dolore intimo.

Esiste un’alternativa all’eutanasia?

Esiste un atteggiamento verso la morte che non prevede l’eutanasia ma l’accompagnamento, come descrivevo prima quando parlava della mia nonna. Questo è possibile anche per gli animali facendo uso di terapie palliative e del dolore qualora necessario. È un atteggiamento che reputiamo normale e acquisito in medicina umana, ma non così usuale in medicina veterinaria proprio perché esiste lo strumento dell’eutanasia che sembra essere l’unico possibile.

Cosa sono le cure palliative?

Le cure palliative sono un atto prima di tutto di consapevolezza. È la consapevolezza dell’incurabilità di alcuni stati patologici (come ad esempio di pazienti in stadio terminale). In questi casi si usano metodiche mediche farmacologiche oppure mediante terapie integrative per sollevare l’animale almeno dalla sofferenza del dolore.

A cura di Sabrina Mechella